Dopo una lunga attesa atta ad evitare orde barbariche di adolescenti mal sviluppati e urlanti, e, soprattutto, una volta data la meritevole attenzione a lavori ben più importanti (nelle previsioni) come A single man e L’uomo che verrà, mi convinco, senza troppo entusiasmo, ad andare a vedere l’ultima fatica di un regista da un passato (quasi) d’oro.
Ieri, a visione avvenuta, venivo casualmente a sapere, tramite sms, dell’ingenua esternazione di compiacimento verso il film da parte di un bambino: “semplice e fantastico”, lo definiva.
Ecco cos’è Avatar: esattamente questa è la chiave di lettura ed era proprio quanto rimeditavo durante l’intera proiezione. La tendenza analitica, è vero, non mi permette di trovare esaustivo il commento, ma la sua essenzialità resta efficace tanto quanto la semplicità di cui è descrizione; ed è con questa che mi sono persuaso a rileggere i supposti punti deboli del film: storia fiacca, dinamiche (ab)usate, eccessiva linearità.
Quando la semplicità diventa un problema e quando è solo struttura?
Naturalmente non mi sento all’altezza di compiere una dissertazione in merito – che, peraltro, allontanerebbe inevitabilmente dal tema dell’articolo -, ma diventa essenziale (far) riflettere su quanto non sia la melodia o la sua originalità la discriminante della qualità di un brano, bensì la sua incastonatura, la diluizione, i suoi tempi, le occorrenze. Non siamo, con Avatar, di sicuro di fronte ad un’opera magistrale anche in tal senso, ma per cogliere la sua efficacia, al di là dell’eventuale effetto soporifero, serve chiedersi ancor più del consueto quale sia la natura della pellicola, di quale pasta stiamo degustando il sapore, per non rischiare di cercare quello del limone nell’anonimo (con molte virgolette) della panna cotta.
Il genere fantascientifico è il primo tranello con il quale si scontrano le attese: Avatar non è fantascienza, lo è solo per ambientazione e lo è tanto quanto può esserlo Atmosfera zero di Hyams. Avatar è un film fantasy, nello stile, nelle forme e, soprattutto, nello spirito, e in quest’ottica va fruito, con tutti i limiti soggettivi che ciò possa avere su uno spettatore. Da amante del fantastico e delle sue derivazioni resto personalmente più distante da questa sotto-categoria, pur sentendola sostanzialmente nelle mie corde e riconoscendone – come potrei non farlo! – stessa dignità delle altre. Ho sentito, dunque, da un lato la non totale parentela con il mio sentire – cosa che, unita alla semplicità (cit.) della storia, ha inevitabilmente abbassato l’attenzione -, dall’altro, per contrasto e cinefilia, sono sceso di forza nelle regole e nei “suoni” del genere evitandomi la trappola della confusione fra soggettivo e dato reale. Sono riuscito, in tal modo, a vivere l’intera durata del film senza vere cadute d’interesse, ma, d’altro canto, senza neanche fare a meno di notare un’assenza di genio, mantenendosi Cameron assestato sul fronte della linearità privo di vibranti novità che non fossero legate all’effettistica e alla straordinaria Natura alternativa di Pandora.
I tempi del film sono corretti, equilibrati, quelli di una favola con tutti i crismi e le attese, con dialoghi semplici, ma mai banali – da non confondere ancora una volta i due attributi, altra trappola tipica -, efficaci come degli standard archetipici, dove il cattivo non stona nel richiedere ai suoi uomini un’azione da marines perché vuole tornare a casa per cena, mentre un Na’vi piange perché costretto a ferire la Natura di cui si sente parte.
Avatar, nel suo essere fantastico (cit.), come genere piuttosto che come giudizio, risulta un film new age al 100%, forse il migliore mai prodotto in questa categoria – è solo una valutazione relativa, non ne fa un capolavoro -, abbeverandosi di tutti i cliché di quella specifica “filosofia”, partendo dall’enfasi estasiata di un regno naturale ricco, vegeto e finalmente pieno di creature viventi per nulla vicine all’estinzione (come sul nostro pianeta), e finendo nelle tematiche più strettamente legate al pensiero della corrente, come l’ipotesi Gaia, che ci vede tutti parte di un’unica entità viva, dalla quale prendiamo solo in prestito dell’energia per poi riconsegnarla – una delle soluzioni verbali più belle del film.
E’ interessante chiedersi chi sia, in fin dei conti, il tipico entusiasta istintivo di Avatar – forse un modo alternativo, ma non meno serio, per affrontare l’analisi.
Tolti dal novero i decerebrati dell’ultima ora che non distinguono videogame da film, vi sono, a mio parere, sostanzialmente due categorie rimanenti.
La prima è quella del popolo del fantasy, fatto di sognatori (coatti) da repulsione sociale, costruttori di favole, talvolta isolati mentalmente in una regressione infantile (non necessariamente patologica) dove trovano realizzate aspettative ed accettazioni.
La seconda è quella dei naturalisti, da quelli semplici nel loro genuino sentire la terra e la Terra, quasi contadinesco (mi si passi il termine), fino agli ossessionati oltremodo, anche con violenza, dal conflitto uomo-natura.
Per tutti gli altri cosa resta? Repulsione o fredda analisi.
Avatar è James Cameron tanto quanto lo si intravedeva nel suo capolavoro mancato The Abyss, dove l’idea finale svelava le intenzioni di cuore del regista. Il maestro della tecnica e dell’azione pare, dunque, definitivamente arruolato – cosa di cui mi rammarico per molti aspetti – in un filone più sognante, favolistico, come un cambio di mestiere di cui non si può che prendere atto (sin dai tempi del sopravvalutato Titanic).
Il dolore degli affezionati del vecchio artigiano è innegabile e la memoria va alle sue pellicole intramontabili, quelle “da marines” per intenderci, senza risultare necessario, per condividerlo, essere un nostalgico piuttosto che un fan di Skynet, quanto solo un attento osservatore: l’abilità narrativa, quella per la feroce, ma calibrata azione, per sceneggiature al cardiopalma era una stella con cui solo Cameron – e nei primi tempi John Mc Tiernan – riusciva a decorare il cielo del pubblico, unico regista portatore sano di un genere contaminato.
Ora, in fine di recensione, mi domando: chi prenderà il suo posto?
Ripenso ad Aliens e avverto il magone.
Voto: 7.5/10
Livello spoiler: 5/10
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Avatar – J. Cameron, 2009A
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