Sotto un cielo a miriadi di stelle splendenti in una volta incantata, al rintocco del Campanile Orsini delle ore piccole della notte volgente ancora tutta nel buio, al fioco tremolio di luci ai cantoni, al latrare di cani randagi, anche al forte e sofferente, rantoloso tossire di qualche malato di asma (“u bumbenere” o “bomba della nera notte”), toglievano le prime spranghe (“i varrone”) di ferro dalle potenti e robuste, pesanti porte dei miseri, bianchi sottani.
Iniziavano allora le giornate e le fatiche dei fichidignai (“i fechedegnere”), raccoglitori provetti, esperti di fichidindia, da alti e intricati cespuglioni (“i macchiune”) dalle moltissime foglie paleiformi “i pizzeche de fechedigne”, punteggiate da spine più o meno lunghe (“i zengune”), e ricoperte ai labbri di moltitudini di fichidindia, già nel loro splendente giallo fiorire nel maggio, dal maggio giugno, e foggiarsi nell’agosto tondeggianti o in forma allungata, rosseggianti del rosso sangue (“i fechedigne sanguigne”), o del verde oro (“i fechedigne a regine”), questi dal sapore assai dolce, o quelli spettacolari a poca foglia e maggior frutto per fichidindia a forma composita, in un tutt’uno, le cosiddette “pizzeche de fechedigne”. Un mare verdeggiante coronato di frutti rosseggianti nel vampeggiante solleone dell’agosto arroventato. Distese sterminate di colori e sapori succulenti, lambenti le periferie “chiangate”, affioranti, bianche, pietraie assolate in appena poco terreno, di quella Manfredonia delle antiche cartoline, che hanno nutrito e sfamato, stregato palati anche fini, intere generazioni, in mostra e in vendita un po’ ovunque, nei lunghi gridi pure di fichidignai in giro per il paese.
Punto di ritrovo, al lume delle stelle non ancora sbiancanti, era lo slargo a ridosso dell’antico macello “u scannagge”, lo scannatoio, ammazzatoio pubblico, lungo la strada per Foggia, un chilometro prima dell’antica Basilica della veneratissima Madonna diSiponto. Cola’ pervenivano a piedi i fichidignai con panieroni di vimini intrecciati, in calzoni, chiusi alle caviglie, e lunghe giubbe, e guantoni a difesa dalle tante insidie di infinite spine insinuanti ovunque, muniti anche di lunghi bastoni uncinati “i ‘ngine”, per raggiungere, catturare e domare, e portarle a misura di comoda coglitura le alte, maestose foglie, colme di fiammeggianti frutti crestati, punteggiati di spinosi nei scuri. Era un sommesso vociare, al calore di fuochi scintillanti, un brulichio di accordi e di arrivi di un gran numero di carretti lanternati, trainati da giumenti scampanellanti, provenienti da ogni dove, dal foggiano e dal nord barese di commercianti, i cosiddetti “camenante” (“i camminanti”), che d’intesa con i fichidignai si recavano, ognuno, al fichidigneto affittato in proprio, diviso in più o meno filari di piante “i cote di fichedigne” (code di fichidindia per la loro piantata).E là, alle prime chiarie dell’alba, appena aurora spuntava rosata, fra le ultime oscurità indugianti nella rorida evanescenza, i fidichignai a cogliere e riempire tanti panieroni “i panere”, fino al raggiungimento di otto, nove mila, ed oltre frutti, se non spirava vento, mai comunque sotto vento, o anche sotto venticelli spifferanti, il tutto prima che il sole bruciante d’agosto arroventasse uomini e cose, i fichidignai, dopo averli smossi, roteandoli e rivoltandoli, con scope “i scupettune” battispina, fatti perlopiù da “rutelavinde”, cosiddetti per quel loro muoversi rotolando nel ventoe, poi, liberandoli dalle tantissime dorate, lucenti spine, “i fechedegnere” assetati, “allanghete de sete”, ne riempivano carretti, che ripartivano per fare ritorno da dove erano venuti.
Ma prima di partire, al compenso in denaro al fichidignaio, oramai era prassi antica, ricevere un’offerta, da parte di ogni commerciante “u camenante”, che si aggiungeva all’obolo del raccoglitore, da utilizzare per la Festa della Madonna di Siponto, di lì prossima a venire, a mo’ di ringraziamento, di venerazione e devozione alla Beatissima Vergine. E così giorno dopo giorno, soldo dopo soldo, fra le vampeggianti raccolte di fichidindia, si racimolava una somma congrua per onorare, pietà loro religiosa, genuinamente primitiva, per rendere testimonianza di devozione popolare alla Sacra Effige del Venerato Tavolo, al passaggio della Processione del 22 agosto, giorno di trasferimento della Madonna di Siponto dalla antica Basilica al Duomo di Manfredonia per la tradizionale Novena.
Così, al passaggio della Processione, all’altezza del macello, la Sacra Icona, accompagnata da innumerevole partecipazione popolare, con donne scalze, con ceri accesi, per voto, o grazia ricevuta, o da chiedere agli Occhi Pietosissimi della Vergine di Siponto, i fichidignai, con gli oboli raccolti, facevano allestire, lungo il “Tratturo del Carmine”, dagli spara pezzi sipontini, fratelli Gelsomino, un grazioso fuoco pirotecnico, il cosiddetto “U fuche di fechedegnere”, ovvero “Il fuoco dei fichidignai”, offerto a santissima loro devozione, disegnato dall’incantevolesvariare di velocità delle rotelle, nel loro multicolore girandolare infiorato, e poi nella fragorosa, colorata batteria, con “spezzate” e graticole verticali a più forti pezzi, a deflagrazione assordante, a interrompere, e fermare così,il veloce scoppiettante e ritmato incedere dei botti rutilanti multicolori, correre verso il lampeggiante, terrificante e terremotante finale della macchina pirotecnica,con fontane, a brillio scintillante, risplendere nel frastuono fumoso, con tanto di mortaretti aprirsi in alto, echeggianti, per ogni dove, nelle distese di fichidigneti fiammeggianti di frutti zuccherini, fra colombi, in svolazzio palpitante, negli scoppi festosi sul lungo serpentone di fedeli e devoti.
E, dopo la più intensa e rimbombante deflagrazione dell’ultima bocca di fuoco, “u calecasse”, quello più forte, la Santissima Processione riprendeva ad avanzare lentamente, fra accorate preghiere e canti antichi, intrisi di strazianti, ma fiduciosi sentimenti di venerazione verso la predilettissima e amatissima Madonna di Siponto, al cui Santo Passaggio ci potevi vedere i fichidignai inginocchiati, dopo il loro fuoco ” U fuche di fechedegnere” di devozione, più volte segnarsi, lacrimevolmente e gioiosamente commossi, salutare la Beatissima Vergine di Siponto, accompagnata trionfalmente dalle Autorità religiose, dalla deputazione festa, dalla banda musicale, dalle tante congreghe, e da innumerevole seguito popolare giubilante. Preludio, così, “U fuche di fechedegnere”, dei solenni festeggiamenti in onore della Madonna di Siponto, prossimi a venire, in una enunciata epopea di Fede, di Devozione e di Fiducia nei Suoi Occhi Pietosissimi, dolcemente, teneramente rassicuranti.
Fonte documentaria (orale): Sig. Francesco Gatta (falegname in pensione)