Titolo originale: Tinker, Tailor, Soldier, Spy
Nazione: Regno Unito, Francia
Genere: spionaggio
ANCORA un titolo atteso giunge nelle sale dal Festival di Venezia 2011. Questa volta tocca a La talpa (titolo originale: Tinker, Tailor, Soldier, Spy) di Tomas Alfredson, già apprezzato da cinefili e cacciatori di cinema per l’ottimo drammatico vampiresco Lasciami entrare – immediatamente e brutalmente riproposto in un remake americano per la restante addormentata parte del pubblico.
Tratto da un noto romanzo di John Le Carré, il plot narra un’intricata storia di spionaggio ai tempi della guerra fredda, tra tensioni politiche, doppi giochi e ideali personali. Protagonista un insolito Gary Oldman, finalmente in una nuova veste lontana da quelle dell’istrionico psicopatico o maudit, che qui interpreta il ruolo di un investigatore, ex agente ell’MI6, sulle tracce di una presunta talpa all’interno dei servizi segreti britannici per cui ha lavorato.
Si è discusso e si discute ancora molto su quest’ultimo lavoro di Alfredson, divisi, sia pubblico che critica, sull’effettivo valore della pellicola, su punti deboli e note di pregio. La voce più insistente, dal carattere fortemente pragmatico, ne sottolinea, con diverse accezioni, lentezza e labirintica trama, quasi a monito dello spettatore incauto che vi caschi adescato dai nomi di spicco (Gary Oldman su tutti) e dall’aura festivaliera che il film porta con sé. Questi due fronti sono, per caso e a tutti gli effetti, probabilmente anche gli aspetti più interessanti da indagare per una valutazione complessiva e qualitativa, al di là del fronte meramente pratico di cui sopra.
I ritmi pacati sono, dunque, firma di un genere, di uno stile e, oggi, di un regista che si allontana dalle dinamiche fracassone, seppur a volte efficaci, della tendenza attuale, e diventano, per contrasto col resto della produzione, uno dei cartellini di presentazione principali de La talpa. Le accuse di lentezza sono con ottima probabilità ascrivibili a due categorie di spettatori: da un lato quelli inconsapevolmente forgiati e plasmati irrimediabilmente da anni dal fast-cinema di stampo americano, rapido e veloce come un TGV che non lascia respirare e pensare, dall’altro chi comprensibilmente perde stralci di questa complessa trama e, frustrato, accusa maggiormente le dilatazioni temporali per oltre due ore.
I ritmi lenti de La talpa non sono, tuttavia, completamente scagionati. A tratti si ha la sensazione di un compiacimento del regista, di una sua necessità referenziale a certo cinema che gli chiede di “rallentare a tutti i costi”, pena la violazione delle regole o la perdita della veste autoriale. Questa presunta pacatezza narcisistica non si trasforma, comunque, mai in un serio errore di sceneggiatura, al punto da lasciare il sospetto che una seconda visione possa finanche togliere queste ragionevoli perplessità.
L’articolata e intricata trama spionaggistica è autogiustificata dal genere di appartenenza, a meno di non aver mai visto un vero film del filone. Non è attaccabile neanche sul fronte dello sviluppo, che dissemina dati e indizi correttamente senza offendere lo spettatore, richiedendogli solo uno sforzo nella memorizzazione di nomi, facce e vicende non sempre mostrate (come da copione). Non appare, dunque, il soggetto tracimare oltre i canoni e la proposizione; non sembra, cioè, essere stato per il regista il punto forte col quale ingannare il pubblico appassionato di gialli a scapito della qualità della confezione e della cura dell’incartamento.
Il lavoro di Alfredson è sicuramente una pellicola che merita un’attenzione che forse molta critica veneziana e tanto pubblico gli ha negato, ma non entra nella storia del cinema come tanta cinefilia snob vorrebbe far credere. L’unicità dell’operazione a confronto degli ultimi trent’anni, l’interessante recupero di un filone spiacevolmente messo da parte, non rende questo film più meritevole degli effettivi e concreti pregi. Ci casca ingenuamente chi dimentica o ignora il cinema di riferimento e ci casca, a volte desiderandolo, il cinefilo che prende una boccata d’aria fresca e ama raccontarne la bontà come fosse una novità anziché un buon ricordo.
La talpa stravince sul confronto, ma soltanto vince sull’analisi non relativistica, e le tanto declamate grandi interpretazioni sono delle buone interpretazioni. I secondari recitano con grande professionalità ma senza lasciare ricordi indelebili (Colin Firth in primis, che ha dato molto più altrove) e Gary Oldman, pur forte della novità della sua veste indossata con grande bravura, non disegna nulla di così memorabile da meritare menzioni d’onore. E si continua a sospettare, ancora una volta, che la cattiva memoria o l’incolpevole ignoranza siano il veicolo preferito dell’orbo nella terra dei ciechi.
Un film da vedere per ritrovare del buon cinema e (ri)scoprire un genere.
E magari darsi qualche risposta sul cinema.
Valutazione: 7.5/10
Spoiler: 10/10
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2012, R. Emmerich (2009) – prototipo da saggio del blockbuster americano con spessore zero. Quasi un cult * 4
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Hugo Cabret, M. Scorsese (2011) – fantasy 3D per Scorsese * 3feb
Millenium – Uomini che odiano le donne, D. Fincher (2011) – remake a marchio Fincher * 3feb
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La talpa – T. Alfredson, 2011L
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