San Severo, 30 marzo 2018. ”Questi episodi ti pongono di fronte a riflessioni profonde che spingono a scelte di vita”. Il consigliere comunale di San Severo Luigi Damone ha presentato stamani le proprie dimissioni, dal ruolo ricoperto in Comune, in seguito ai colpi di arma da fuoco esplosi l’altra notte contro il portone di ingresso dell’abitazione dell’uomo, da distanza ravvicinata. “Tutti noi conosciamo Gigi Damone come uomo serio e rispettoso delle regole e del vivere civile, come professionista attento, preparato e scrupoloso, come Consigliere Comunale che si è sempre distinto per le sue battaglie per la democrazia e la legalità. A Gigi indirizziamo ancora una volta l’affettuosa testimonianza di solidarietà di tutta la Civica Amministrazione”, aveva detto dopo i fatti il sindaco di San Severo, Miglio. La stessa solidarietà e vicinanza è arrivata dal presidente della Regione Puglia Emiliano.
Il testo integrale del discorso di Luigi Damone (fonte L’Attacco)
“Innanzi tutto devo ringraziare tutti coloro che mi hanno dato il loro sostegno in queste ore molto buie per me e per i miei cari. Tra tutti devo ringraziare gli splendidi tutori dell’ordine pubblico che con la loro professionalità e sensibilità hanno dato a me ed alla mia famiglia conforto e tranquillità. Questi episodi ti pongono di fronte a riflessioni profonde che spingono a scelte di vita.
In questo contesto, pur non sapendo se inquadrare l’insano gesto in una questione professionale (perché viviamo in una comunità con troppe armi e troppo odio, dove anche uno sfratto o una separazione coniugale può essere motivo di aggressione e violenza), politica o istituzionale ritengo di condividere pubblicamente in questa assise il mio pensiero per quanto riguarda l’impegno politico.
Non ricordo il giorno in cui mi sono innamorato della politica. Sì, innamorato. Perché io la politica l’ho amata. Ho vissuto l’intera mia vita nel frastuono delle campagne elettorali. Ero bambino quando si lottava fino all’ultimo secondo per attaccare il manifesto più importante: l’ultimo. E io c’ero. Ho amato il confronto dialettico, anche aspro, con gli avversari.
Le lunghe discussioni, le strategie, le mediazioni. Perché la politica non è fatta di bianco o di nero ma di tante tonalità di grigio. Ho amato la politica come affermazione delle idee, della propria visione della vita e del mondo, ispirata a principi di legalità e solidarietà, mai come successo personale, come momento di gloria o occasione di arricchimento.
Ho rispettato i miei avversari, tutti e sempre, convinto che chiunque avesse qualcosa da insegnarmi. E anche da loro ho imparato tanto. Ho gioito delle vittorie e ho pianto delle sconfitte. Ho cresciuto i miei figli, unitamente alla mia splendida compagna di vita, insegnando loro che la politica è cosa buona e giusta e che il servizio è la strada per un domani migliore.
Ma evidentemente non è bastato.
Forse qualcuno pensa che di una poltrona io voglia fare una ragione di vita (non sapendo che – caso più unico che raro – mi sono dimesso sia da ASI che da Fondazione Banco Napoli), che io voglia restare attaccato a lei per chissà quale vantaggio personale. Chi mi conosce sa che non è così, chi non mi conosce … spara. Spara chi viene armato dalle false rappresentazioni della verità.
Spara chi è costantemente martellato da un’informazione strumentalizzata. Spara chi si sente costantemente ripetere che la politica va riformata con la forza e non con la dialettica. Spara chi teme le parole, chi non ha idee, chi crede che così si affermino i valori. Ecco perché è arrivato per me il momento di salutare, di ringraziare e chiudere definitivamente la porta. Perché non è più questa la politica che ho amato. Perché non c’è più un confronto di intelligenze, ma solo una guerra di potere. Perché anche le parole di Papa Francesco dell’altro ieri sono cadute nel vuoto e la manifestazione contro le mafie a Foggia non ha toccato cuori ormai irrimediabilmente induriti.
Nemmeno lo snocciolare – come un rosario laico – l’amaro elenco delle vittime di mafia ha potuto cambiare le coscienze! Comunque ringrazio tutti. Chi ha condiviso il mio cammino, ma anche chi non lo ha condiviso. Chi ha trascorso con me notti insonni di lavoro, ma anche chi in quelle stesse notti dormiva beatamente per poi il giorno dopo dirmi che era tutto sbagliato (e magari non aveva neanche letto ciò che avevo scritto). Ringrazio chi ha avuto fiducia in me, ma anche chi non ci ha mai creduto. E ringrazio tutti coloro che – innanzitutto la mia famiglia, mia mogli ed i miei figli – hanno sofferto le mie assenze, in silenzio e senza mai farmelo pesare. Credo sia il momento di dar seguito a quello che ho già annunciato in questa stessa assise alcuni mesi fa, trovando altri campi in cui riversare la mia passione civile ed il mio spirito di servizio.
Con il mio gruppo ed i miei colleghi concorderò in tempi rapidi i modi ed i tempi per formalizzare questa mia decisione. Non certo per paura, ma perché tutto è ormai lontano, troppo lontano dal mio modo di essere. Spero solo che chi riceverà questo splendido ma pesantissimo testimone abbia ancora la voglia e la forza di sognare“.
Le dimissioni di Gigi Damone, e ancor più, l’appassionato e commosso discorso di commiato dall’Assise Comunale di San Severo non possono lasciare indifferente chi, in qualche modo, porta analoghe stimmate, e, tuttavia, ha saputo catarticamente utilizzarle come punto di ripartenza per sollecitare e incentivare un risveglio culturale e operativo volto alla difficile bonifica del “sociale” italiano e, in particolare, della comune amata terra di Capitanata. Chi lo conosce da tempo ed ha condiviso con lui parte di un percorso assai duro, pur se altamente formativo, sa bene che non c’era retorica nel suo rattristarsi per la fine di un amore, quello per la politica; quella politica che ormai ha cambiato volto e sembianze, rendendosi irriconoscibile a chi pure, fin dalla primissima giovinezza, vi si era votato con entusiasmo e trasporto.
I recenti risultati elettorali suonano da inequivoco segnale di una necessità avvertita collettivamente come non più derogabile; eppure essi sembrano non scalfire la marmorea irremovibilità di quanti dovrebbero, invece, avere la sensibilità di fare un passo indietro per agevolare il cambiamento. Dureranno ancora poco, si spera, nell’essere ostacolo ad una definitiva, pacifica rivoluzione in grado di restituire all’Italia quel ruolo di Faro della Civiltà che nella Storia dei Tempi ci veniva fondatamente attribuito.
In ruoli e tempi diversi, rispettivamente come capo della Mobile foggiana tra gli anni ottanta e novanta e come assessore alle politiche sociali della stessa amministrazione di San Severo che, da ultimo, vede l’odierno abbandono di Gigi Damone, non abbiamo mai avuto paura di denunciare apertamente gli sconci che devastano il funzionamento delle istituzioni di cui siamo stati servitori. Continueremo a farlo, con la speranza che anche Gigi non rinunci al ruolo raggiunto per appassionata vocazione e trovi presto il modo di riaffermarsi, con lo stesso tenace indice motivazionale, in altri contesti.
Noi abbiamo scelto la scrittura per comunicare un disagio che con gli anni si è fatto allergia ed è diventato, infine, romanzo. Un romanzo che contiene una chiara promessa: continueremo a raccontare la realtà, soprattutto quella delle nostre contrade, e useremo le parole per provare a risvegliare una coscienza civile drogata da decenni di cattiva politica, che ha devastato i territori, ridotto la cosa pubblica a proprietà privata e le istituzioni in postriboli.
A Gigi auguriamo di trovare prestissimo l’alveo giusto per canalizzare le sue energie intellettuali, ma in questa giornata è inevitabile formulare qualche considerazione. O meglio, ribadire e sottolineare alcuni punti cruciali di un discorso che è impossibile ignorare, sol che si sia dotati di qualche neurone funzionante.
L’attuale dissoluzione sociale ha più di una causa e, certamente, occorrono rimedi che non possono essere rappresentanti ancora a lungo dalla fuga delle migliori intelligenze verso l’estero o verso regioni italiane meno devastate dalla criminalità violenta e da quella, non meno pericolosa, dei colletti bianchi. Urge una radicale rivoluzione culturale che impietosamente e definitivamente defenestri i raccomandati, gli ignoranti, gli oziosi e i riciclati della politica di paese. Quelli, per intenderci, che ridicolizzano il loro ruolo, vilipendono l’immagine delle città che indegnamente amministrano e sono, giustamente, presi di mira sui social.
Se è vero che Gigi è stato drammaticamente costretto a cambiare la sua vita, ci auguriamo solo per il momento, dai violenti accadimenti delle scorse ore, è pur vero che egli paga colpe antiche, attribuibili ad una certa sintassi espressiva di cui la politica locale si è nutrita negli ultimi decenni. Quella sintassi, per intenderci, che circolava disinvoltamente sui telefonini alla vigilia delle ultime politiche e che era una grottesca, pietosa emulazione delle filosofie mafiose. La politica dovrebbe fare anche, se non soprattutto, pedagogia. Chi è al vertice, o lo è stato molto a lungo, dovrebbe essere un esempio, e fatalmente finisce per esserlo anche quando l’esempio offerto è tutt’altro che edificante.
Se gli “avvertimenti” a Gigi non hanno la loro radice nella sua vita, come ci è facile ipotizzare, è innegabile che chi ha sparato alla sua porta è figlio della stessa terra, respira la stessa aria, si è alimentato di quell’humus maturato nel tempo, che si è espresso in connivenze, nemmeno troppo occulte, con ambienti non proprio limpidi.
Si racconta, fondatamente, che talune estorsioni ai costruttori foggiani fossero attuate dalle stesse persone che quei costruttori avevano “ingaggiato” per “convincere” i piccoli proprietari a svendere le case basse, acquistate per essere rase al suolo e poter costruire alti palazzi…
Chi può negare che a San Severo si vada sotto braccio al mattino con chi il giorno dopo viene ospitato dalle patrie galere?
Gigi è certamente estraneo a questa logica, ma con questa mentalità è stato costretto a confrontarsi, in una città in cui, come lui stesso ha denunciato, ormai basta poco perché si metta mano alle armi, che circolano in gran quantità. Basta niente.
Chi sparò alle auto della Polizia nel piazzale della Stazione? Non lo sappiamo ancora. Forse non lo sapremo mai, o forse si scoprirà che ci si voleva solo vendicare di qualche poliziotto belloccio in trasferta a San Severo, che magari aveva provato a sedurre una ragazza già impegnata. Oppure verrà fuori qualche altra idiozia del genere.
Perché la gravità dello stato di fatto è proprio questa: il range motivazionale, che con assoluta indifferenza può portare da un ceffone all’esplosione di più colpi di pistola è davvero a 360 gradi; che si tratti di uno sguardo, della precedenza ad un incrocio o del mancato rispetto di un patto elettorale, a San Severo si può colpire, ferire, ammazzare.
Il problema si risolve con l’abbandono? Il problema personale sì, certamente. La questione, quella vera, resta invece sempre lì: o ci si allinea o si salta. L’esempio parte dall’alto. Quelli che sparano sono soltanto poveri allievi.
Claudio Lecci e Mariella Di Monte