Roma – Manfredonia. Con sentenza di recente pubblicazione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Procuratore della Repubblica di Foggia contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Bari che, nel marzo scorso, aveva annullato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Grazia Romito, nata a Mattinata il 06/02/1971, amministratrice di fatto della “Santa Lucia s.r.l.”.
La decisione ha confermato la riqualificazione giuridica del reato ipotizzato a carico della Romito nell’ambito della vicenda che ha coinvolto l’azienda funebre con sede a Manfredonia.
La Cassazione conferma dunque la tesi dei difensori di Romito Grazia rigettando in toto il ricorso della Procura di Foggia.
L’indagine era partita dall’accusa, formulata dal Gip del Tribunale di Foggia, secondo cui la Romito, insieme al formale amministratore della società, Rotolo Luigi, e all’assessore comunale Angelo Salvemini, avrebbe presentato una richiesta di autorizzazione allo svolgimento di attività funebri contenente dichiarazioni ideologicamente false.
L’istanza attribuiva la conduzione aziendale al Rotolo, dichiarandolo unico amministratore e in possesso dei requisiti richiesti, mentre, secondo l’accusa, la gestione effettiva sarebbe rimasta nelle mani della Romito.
La Romito, però, era priva dei requisiti previsti dalla normativa regionale pugliese, poiché gravata da un’interdittiva antimafia che le precludeva di svolgere l’attività imprenditoriale. In questo contesto, Salvemini avrebbe sollecitato il rilascio dell’autorizzazione da parte del Comune, inducendo in errore i funzionari competenti.
Il Tribunale del Riesame aveva annullato la misura cautelare, riqualificando il fatto come falso ideologico relativo a un atto autorizzatorio vincolato (art. 480 c.p.) e non come falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.), limitando così le possibilità di applicazione di misure coercitive.
Il Procuratore della Repubblica aveva presentato ricorso in Cassazione, contestando la qualificazione dell’autorizzazione funebre come un atto amministrativo vincolato e sostenendo che l’istruttoria del provvedimento fosse caratterizzata da margini di discrezionalità tecnica, rendendolo un vero e proprio atto pubblico ai sensi dell’art. 479 c.p.
Secondo il PM, l’attività istruttoria includeva valutazioni discrezionali relative all’idoneità di strutture, mezzi e personale dell’azienda, oltre a verifiche su eventuali conflitti di interesse e sull’adeguatezza formativa del responsabile. Questi elementi, a suo dire, giustificavano l’applicazione della disciplina penale più severa prevista per i falsi in atti pubblici.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando che l’autorizzazione per lo svolgimento di attività funebri rientra nella categoria degli atti amministrativi vincolati. Riprendendo la giurisprudenza consolidata, ha ribadito che un atto pubblico è caratterizzato dalla capacità di produrre effetti costitutivi, traslativi o modificativi di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’interesse pubblico, o dalla documentazione di attività svolte o fatti percepiti da un pubblico ufficiale.
Al contrario, l’autorizzazione amministrativa è definita come un atto che rimuove limiti normativi all’esercizio di un diritto preesistente, previa verifica di specifici requisiti. Nel caso in esame, l’autorizzazione funebre regolata dalla legge regionale pugliese n. 34/2008 non ha effetti costitutivi, ma si limita ad attestare la sussistenza di condizioni oggettive, come la dotazione di locali e mezzi idonei, la presenza di personale qualificato e l’assenza di interdizioni.
La Corte ha sottolineato come l’istruttoria dell’atto sia priva di margini di discrezionalità, essendo finalizzata esclusivamente alla verifica dei requisiti stabiliti dalla normativa. I poteri di vigilanza e controllo attribuiti alle autorità amministrative non alterano tale natura vincolata, ma si limitano ad assicurare il rispetto delle prescrizioni di legge.
Rigettando il ricorso, la Cassazione ha stabilito che la falsità rilevata nell’autorizzazione rientra nell’ambito del reato previsto dall’art. 480 c.p., meno grave rispetto a quanto sostenuto dall’accusa. Di conseguenza, vengono confermate le conclusioni del Tribunale del Riesame, che aveva escluso la possibilità di applicare misure cautelari nei confronti della Romito.
Finalmente lo Stato ha dimostrato di non avere le bistecche d’avanti agli occhi. Dovrebbero marcire in galera tutti coloro che sono contro la legalità.
Gent.le sig..ra Sonia, ha ben letto l’articolo?
E’ stato respinto il ricorso del Pubblico Ministero, e quindi si è implicitamente confermato che l’autorizzazione per lo svolgimento dell’attività rientra nella categoria degli atti amministrativi vincolati secondo la giurisprudenza consolidata che ribadisce che un atto pubblico è caratterizzato dalla capacità di produrre effetti modificativi di importanti situazioni giuridiche individuali per l’interesse pubblico, cosa che secondo la Cassazione appunto non sussiste. E’ una mera questione tecnico-giuridica.
A questo punto mi chiedo chi è che dovrebbe, secondo lei, “marcire in galera”…