CHI ama il cinema non solo in quanto intrattenimento ed espressione artistica ma anche per le sue valenze sociologiche, ha, talvolta, grazie a film rivelatori, occasione di scoprire l’esistenza di meccanismi – e comprenderne dinamiche – in grado di manovrare sorprendentemente masse come gruppi di burattini, e non attraverso una gestione emozionale raffinata quanto banalmente tramite un bluff ben riuscito con giocatori inesperti – non me ne voglia, ma una grossa fetta del pubblico lo è.
Il fenomeno Paranormal Activity – e ancor prima The Blair Witch Project – insegna molto in questi termini, al punto tale che il suo valore scavalca l’ambito cinematografico, al quale apporta ben poco, e regala informazioni preziose che ne incensano, da sole, l’esistenza.
Nonostante la sua qualità solo sufficiente, il film di Peli, circa un anno fa, divenne un caso: innumerevoli spettatori terrorizzati, e non solo tra i paurosi dell’ultim’ora, oltre che richieste di provvedimenti per il divieto ai minori. Sbaglia chi crede esser stato esclusivamente battage pubblicitario come richiamo nelle sale giacché l’osservazione, anche di chi vi scrive, spiazza in tal senso, confermando una reale efficacia del prodotto superiore alla media – e nella media rientrano film cruenti di fama e qualità ben superiore.
Cosa ci insegnano questi film? Che la presa sul pubblico si può fondare su ben poco, e senza mediazione di sceneggiatura o abili proposizioni: un’iniezione diretta, immediata, ma della sostanza giusta. L’astuzia, al più, è nell’individuarla. La paura del buio negli spazi aperti lo era per The Blair Witch Project, la paura dei demoni lo è per Paranormal Activity, frequenze critiche dell’emotività di milioni di persone. E’ vero, gli argomenti sono noti e più che abusati senza pari successo da altre pellicole, ma mai erano stati proposti nella forma del mockumentary, che funge da catalizzatore potenziandone l’efficacia.
Sono occorse, dunque, due chiavi di volta combinate per scatenare il panico: un tema sensibile e la forma di somministrazione; e poco importano tempi, recitazioni e modi, che fanno storcere il naso allo spettatore distaccato e intelligente (entrambe le cose): quel che conta è nella statistica, numeri che annoverano pubblico istintuale che ha paura di specifiche ombre, pubblico fatto anche di teste pensanti.
Ecco, dunque, servito il primo piatto e, visto che ci siamo, perché non continuare con un secondo?
Ci prova questa volta Tod Williams, spalleggiato in produzione dal regista del primo capitolo: una famiglia (madre, padre, figlia e un piccolo bambino) e ancora strani fenomeni in casa, ripresi amatorialmente da telecamera a mano e videocamere di sorveglianza. L’evoluzione sarà, naturalmente, agghiacciante.
Diciamolo subito: il lavoro di Williams è più che dignitoso e senza necessità di rapportarsi, per la valutazione, con le difficoltà di un seguito. S’incastra, narrativamente parlando, con il film di Peli in maniera originale e non pretestuosa, possedendo un carattere che non ne avrebbe fatto sentire la necessità. L’idea delle videocamere di sorveglianza fornisce al regista un escamotage funzionale per potersi concedere una ripresa più classica, ferma, senza privare il lavoro di quell’amatorialità utile allo spavento. Gli attori, inoltre, sono maggiormente in parte, forti di una recitazione non entusiasmante ma convincente, la sceneggiatura ha pochi momenti stanchi e possiede astuzie narrative che appaiono il sintomo di una mano più scaltra di Peli.
Viene riproposta, dal precedente capitolo, […]1, ma non se ne fa un fulcro di attrazione, restando, quindi, perdonabile come necessità di trama. I tentativi di spiegazione, poi, della persecuzione non appaiono come l’incompetente bisogno di svelare, dopo il suggerito del film del 2007, ma ritraggono solo una differente linea dell’opera, che prova a giocare le sue carte su un soggetto leggermente più elaborato.
Da segnalare la suggestiva sequenza […]2. Peccato per un finale un po’ troppo diretto, nei modi più che nei contenuti, che sgrazia una pellicola che appare più composta del suo predecessore e che, almeno, non lascia del tutto insoddisfatto chi ha un rapporto più freddo con le tematiche demoniache.
Di sicuro, per tutti gli altri, ci sarà ancora una volta da tremare.
Voto: 6.5/10
Livello spoiler: 10/10
[…]1 qualche trovata, come il trascinamento dalla forza invisibile o la possessione
[…]2 dell’aggressione del cane da parte dell’entità, così come quella che mostra, attraverso l’osservazione del registrato notturno, il comportamento anomalo del pulitore della piscina, fino alle inquietanti fasi post possessione della giovane Kristi
AltreVisioni
Desperation, M. Garris (2006) – fiacco e imbarazzante prodotto televisivo da una novella di Stephen King * 3
Cellular, D. R. Ellis (2004) – macchiettistico e approssimativo thriller con Kim Basinger * 5
Custodes Bestiae, L. Bianchini (2004) – interessante horror friulano dal regista di Radice Quadrata di Tre * 6.5
K-Pax, I. Softley (2001) – ruffiana favola new age antistress ben recitata * 6
Carriers, A. & D. Pastor (2009) – scialbo thriller su contagi e contagiati ma senza zombie corridori * 5
Caterina va in città, P. Virzì (2003) – deliziosa e acuta commedia sociale attraverso gli occhi di una bambina * 8