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TRADIZIONE Sand’Andùnje mášquere e sune (Sant’Antonio Maschere e Suoni)

Nella comunità Sipontina (e non solo in loco) tradizione vuole che il 17 gennaio celebrazione della festa di Sant’Antonio Abate inizia il Carnevale

AUTORE:
Franco Rinaldi
PUBBLICATO IL:
17 Gennaio 2024
Manfredonia // Notizie in piazza //

Manfredonia – NELLA comunità Sipontina (e non solo in loco) tradizione vuole che il 17 gennaio celebrazione della festa di Sant’Antonio Abate inizia il Carnevale. Un tempo, gruppi di maschere sfidando i rigori della stagione invernale, sin dal primo pomeriggio di quel giorno scorrazzavano per le vie della Città, ritmando le loro corse con schiamazzi, castagnole, tamburelli e compassi.

In alcune case si allestiva la “Socia” dando la possibilità ai gruppi delle maschere di effettuare “u balle pe cchese” (il ballo per casa): Così mi riferiva anni fa, l’arzillo ultranovantenne Salvatore Castriotta detto “Giuànne u scazzise”, ex portuale, bravo ballerino e animatore nel periodo di carnevale di gruppi mascherati e socie, sostenendo che durante il carnevale Manfredonia diventava una bolgia, era una festa di popolo, dove la maggior parte della popolazione si mascherava: “…ci si divertiva per poco, e poi c’era grande rispetto tra i gruppi mascherati. Ci cambiavamo i costumi che indossavamo ogni Giovedì Grasso e nei tre giorni clou del carnevale. La festa poi continuava anche la prima domenica dopo il mercoledì delle Ceneri allorquando si festeggiava “a pegnète”. Era un divertimento sano e genuino. Il ballo per casa, gli sfottò, le burle ai parenti e agli amici, i colpi di tamburello in testa alle maschere e alle persone che si incrociavano per strada, i lanci di stelle filanti, di confetti, ed infine il romantico frenetico azionare dei compassi “i cumbasse de legne” alla punta dei quali era legato un sacchettino dentro al quale si mettevano 4 o 5 confetti (i salemùne) che il portatore del compasso offriva alle persone (per lo più ragazze nubili) che erano affacciate sui balconi dei palazzi…”.

…Compassi, continuava Castriotta, che erano costruiti in legno, fino a 24 bacchette, con una apertura che arrivava fino ai secondi piani di alcuni abitazioni. Si aspettava il carnevale con ansia, perché era il periodo dove la maggior parte delle persone aveva la possibilità di sfrenarsi dimenticando le angosce e i problemi quotidiani, il primo dei quali, la povertà che opprimeva gran parte della popolazione…”. Era consuetudine in loco il giorno della Festa di S.Antonio Abate preparare e mangiare il pancotto. Questa antica pietanza, che veniva consumata, in particolare nei mesi invernali, in quel giorno veniva preparata in onore della Festa del Santo.

Sempre nello stesso giorno “i sparapizze”, i pirotecnici sipontini, tutti appartenenti alla famiglia Gelsomino, con i relativi parenti, di buonora si recavano alla chiesa del Carmine o di S.Francesco, dove veniva celebrata una messa in onore di Sant’Antonio Abate protettore degli artificieri.

A conclusione del rito religioso in chiesa, i “sparapizze” i Gelsomino, si riunivano nella casa del capo famiglia, dove era stato allestito un altarino di devozione con l’effige di Sant’Antonio Abate per festeggiare con un lauto banchetto il loro Santo Protettore. La festa continuava la sera con l’allestimento della socia in casa, dove si ballava fino a tarda ora. Il carnevale, come ogni festa della cultura contadina, esplodeva in manifestazioni di stranezze e di irrazionalità non spiegabili in momenti ordinari della vita.

Rapportandosi ogni festa ai motivi della propria stagione, il Carnevale si caratterizzava anche con i frutti tipici contadini dell’inverno quali: vino e maiale “u purche”. Il maiale faceva parte integrante della economia della famiglia e per questo, come ogni altro animale del patrimonio della famiglia rurale, veniva affidato alla protezione di S.Antonio Abate.

Era usanza anche in loco ammazzare il maiale “quanne u grasse da panze iove arrevete nderre” (dopo averlo tenuto all’ingrasso per un anno). A tal proposito c’è un detto popolare che così recita: “u purche nanne ua cambè”. Qualsiasi parte dell’animale veniva utilizzata, persino i “ recchie, pite e mosse” (orecchie, piedi e muso) per preparare un ottimo brodo.

NOTIZIE STORICHE SU SANT’ANTONIO ABATE. Antonio Abate, uno dei più eminenti eremiti della storia della cristianità, nacque a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250. In giovane età lasciò ogni cosa terrena e si ritirò in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove per più di 80 anni condusse una vita da eremita per raggiungere in mortificazione e in preghiera, la perfezione cristiana.

Ancora in vita, attratti dalla fama di santità, accorrevano a lui pellegrini e bisognosi da tutto l’Oriente. Per due volte lasciò il suo eremitorio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massiminio Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Concilio di Nicea.

La sua presenza attirò nel deserto numerose persone desiderose di vita spirituale e molti divennero monaci. Tra i monti della Tebaide sorsero così monasteri e il deserto si popolò di religiosi. Nell’iconografia è raffigurato circondato da donne provocanti (simbolo delle tentazioni), animali domestici (come il maiale, di cui è protettore). E’ invocato, altresì, contro tutte le malattie della pelle “u fuche de Sant’Andonje” (herpes zoster), curato anticamente con il grasso del maiale ed è per questo che nella religiosità popolare, il maiale fu associato al grande eremita egiziano; ed infine è protettore di tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco.

Sempre nella iconografia, il Santo compare oltre che con gli animali domestici, con il bastone da eremita a forma di T (la “tau”, ultima lettera dell’alfabeto ebraico) a cui è legata una campanella.
Morì ultracentenario, nel 356.

(A cura di Franco Rinaldi, cultore di storia e tradizioni popolari di Manfredonia) – Articolo del gennaio 2015

FOTOGALLERY FRANCO RINALDI

Redazione Stato@riproduzioneriservata

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