Manfredonia. Venivano in gran parte dalle campagne, erano giovani e si lasciavano alle spalle la famiglia e la casa. Il 24 maggio 1915 quasi mezzo milione di soldati italiani cominciò a marciare verso il confine con l’Impero Austro-Ungarico, ex alleato e ora nemico da combattere: anche per l’Italia cominciava la Grande Guerra, uno scontro armato che la maggior parte della popolazione non voleva. Alla fine, dopo un lungo dibattito, il Re Vittorio Emanuele III e il governo di destra guidato da Antonio Salandra, a fine aprile avevano firmato un patto segreto con Inghilterra, Francia e Russia: compensazioni territoriali in cambio dell’entrata nel conflitto. Erano contrari alla guerra i cattolici, non ne volevano sapere i liberali di Giolitti.
Eppure ebbe la meglio la componente interventista, minoritaria ma più unita, sostenuta da intellettuali come D’Annunzio capaci di riempire le piazze; le possibili conseguenze erano state sottovalutate. Nel giro di poche settimane, le posizioni degli eserciti si stabilizzarono, anche sul fronte italiano ebbe inizio la tremenda guerra di trincea. Se per l’Italia la guerra iniziò il 24 maggio 1915, per molti italiani il conflitto era già in corso da dieci mesi; la gran parte dei territori ex austriaci visse un anno di guerra e miseria molto forte tanto che a Trieste la popolazione passò da 250 mila a poco più di 100 mila abitanti.
L’eredità della Grande Guerra si fece sentire negli anni immediatamente successivi ma per alcuni aspetti arriva fino a noi. ‘Il Paese entrò quasi subito nella catastrofica dittatura fascista- dice Lucio Fabi- e l’esperienza della trincea fu dolorosissima e lo fu anche per chi rimase a casa. La prova che il Paese dovette sostenere fu enorme ma nella prova avvenne un compattamento dello spirito tra soldati che conobbero i loro simili provenienti da altre regioni. Accadde soprattutto dopo la disfatta di Caporetto, che ricompattò il paese lungo le linee del Grappa e del Piave contro un nemico che lo aggrediva: su quel fronte il soldato italiano capì di dover combattere in difesa della patria, della casa e della famiglia.
Anche a cent’anni di distanza gli storici non sono netti nel giudizio: ‘Abbiamo l’esempio della Svizzera, che è rimasta neutrale e sicuramente ha risparmiato al suo popolo una serie immane di sacrifici. Si può dire che la guerra fu voluta da una classe sociale ben precisa, che poi grazie alla guerra si arricchì.’ Non è comunque facile dire se avevano ragione gli interventisti o i neutralisti. Non è semplice soprattutto oggi: i nemici di allora sono i nostri compagni di strada dell’Europa unita, milioni di persone visitano i luoghi di guerra dove combatterono e morirono i loro nonni e bisnonni.
Quella guerra deve essere superata proprio nel ricordo della sofferenza e dell’inutile strage.
(A cura di Marilina Ciociola, Manfredonia 24.05.2016)
Neanche quest’anno abbiamo potuto leggere i nomi dei caduti manfredoniani nella Prima Guerra Mondiale, elencati nella lapide affissa sulla facciata del Palazzo San Domenico e in riparazione da molti anni (UNA LAPIDE!!!) .