Questa scheda è spoiler-free: nel rispetto del lettore vergine della visione del film verranno isolate, nell’arco della recensione, eventuali rivelazioni critiche di trama (spoiler) su note a piè pagina, oltre a essere suggerito, a fine articolo, un indice della presenza di punti sensibili nell’opera il cui svelamento accidentale possa incidere su una sua corretta fruizione
Titolo originale: The Wolf of Wall Street
Nazione: Stati Uniti
Genere: drammatico, biografico
DUE anni dopo Hugo Cabret, Martin Scorsese torna ad ammaliare Los Angeles guadagnando cinque candidature all’Oscar con il suo The Wolf of Wall Street, biografico tratto dall’omonimo libro di Jordan Belfort.
Si narra la vera storia di un giovane broker che, grazie a furbizia e doti da comunicatore, riesce a costruire un piccolo impero economico fondando la società Stratton Oakmont, a colpi di truffe e inganni. Droga, soldi, sesso, per finire coi conti con la giustizia.
Per fortuna Scorsese, quello vero, è tornato.
Dopo il patinato e fiacco Hugo Cabret, il vecchio regista di Taxi Driver assolda per la quinta volta Leonardo DiCaprio, ed assieme a lui un cast formidabile, per raccontare la turbolenta storia di Jordan Belfort, costellata di eccessi e illegalità. E’ ancora una volta la struttura narrativa cara a Scorsese, quella che ama sviluppare uno o più personaggi nel corso degli anni, mostrandoceli crescere e diventare, a loro modo, degli eroi, iperadattati ad un ambiente marcio in cui o si è così o si soccombe. E’ lo Scorsese che si diletta a gettare e lasciare lo sguardo nei dietro le quinte dei boschi sociali più pericolosi e rischiosi, che si appassiona a raccontarli per inquietare lo spettatore, spettatore che scende assieme a lui in dimensioni lontanissime, affascinanti ma perennemente minacciate da rotture di equilibrio. Si entra e se ne esce, come nei suoi migliori film, sporcati di una nuova conoscenza, a tratti sconvolti, come se si avesse vissuto davvero là, dentro la pellicola, per la durata dell’intera proiezione.
Il merito principale in The Wolf of Wall Street, così come nei titoli più blasonati del regista newyorkese, è nella sceneggiatura, che chiede tre ore di marcia per il tipico lavoro epico scorsesiano di costruzione di un personaggio e della sua epoca; densa di episodi, anche se non quanto i grandi Casinò e Quei Bravi Ragazzi, la narrazione riempie il tempo a disposizione senza perdite di colpi né accelerazioni, ed il ritmo è quasi impeccabile, penalizzato leggermente solo dalla monotematicità del soggetto e da una rischiosa – anche se spesso evitata – ripetitività.
Straordinaria la compagine attoriale, tutta, che meriterebbe un diluvio di Oscar persino per le comparsate di pochi secondi, un esempio di cura raramente vista, che sembra riportare al cinema gigantesco dell’epoca d’oro. DiCaprio è infallibile, imbarazzante per bravura, tanto da riuscire, ancora una volta, a compensare totalmente tratti somatici che avrebbero condannato altri attori a ruoli da supereroi per ragazzini. Attorno a lui volti alla Scorsese ma soprattutto caratteri alla Scorsese, scolpiti così bene da conferire spessore a personaggi dall’iniziale apparente scarso carisma visivo: risultato della grande abilità nella direzione degli attori, che può essere capace, laddove le interpretazioni reggano le richieste, di popolare di emozioni anche un anonimo individuo, conferirgli sfumature, un passato, dolori, amori, storie, tridimensionarlo perfettamente e rendercelo famigliare al termine del film come se lo avessimo da sempre conosciuto, sin dalla nostra infanzia.
E il marchio Scorsese non è solo nel cast e nella sceneggiatura ma anche nella bellissima e classicheggiante fotografia, già apprezzata in altri suoi lavori e parente stretta di quella eastwoodiana, è nella selezione della colonna sonora non originale, nei dialoghi brillanti (seppur non memorabili) e in alcune creative sequenze che svolgono il compito di firma narcisa del regista. Così non si dimenticherà il battibecco dell’indispettito Donnie verso Brad ai lati di una valigetta piena di soldi, ma anche l’affannosa e buffa colluttazione di Jordan e Donnie strafatti e incastrati nel filo della cornetta di un telefono.
Tentennamenti? Sì, qualcuno.
Non si raggiungono le vette scorsesiane probabilmente a causa di un soggetto che, da un lato non lasciava molti margini di epicità, dall’altro risultava meno accattivante delle storie cui il regista ci aveva abituati. Ma le maggiori perplessità sono sulla traccia sessuale, ostentata ben oltre i limiti necessari, con un forte sospetto di perdita di controllo della materia se non di compiacenza verso lo spettatore – piace credere di essere nel primo caso. Pur mantenendosi aderenti all’opera di Jordan Belfort, dunque rispettando le “quantità”, la scelta del modo di presentare i congressi carnali e le frenesie erotiche restano a carico del regista, che può decidere di suggerire, accennare, palesare o addirittura dettagliare a seconda dell’opportunità e dello stile, senza che ciò interferisca con la comunicazione. Buona parte del film è questo, nel bene o nel male – questa volta spiace credere di essere nel secondo caso -, e non se ne avvertiva la reale necessità, quanto piuttosto un senso di nausea.
CANDIDATURE Oscar 2014 – Miglior film (Martin Scorsese, Leonardo DiCaprio, Joey McFarland e Emma Tillinger Koskoff), Miglior regia (Martin Scorsese), Miglior attore protagonista (Leonardo DiCaprio), Miglior attore non protagonista (Jonah Hill), Miglior sceneggiatura non originale (Terence Winter)
Valutazione: 8/10
Spoiler: 3/10
altreVisioni
Flawless, J. Shumacher (2011) – prodotto retorico retto da due buoni attori, comunque in performance non eccelse *5
In Stato d’osservazione
Dallas Buyers Club, J. Vallée (2013) – drammatico, biografico, Oscar 2014 *30gen
A proposito di Davis, E & J. Coen (2013) – drammatico, Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes 2013, Oscar 2014 *6feb
Robocop, J. Padilha (2014) – azione, fantascienza *6feb
Se ne esce sporcati di una nuova conoscenza? a me sembra un film piuttosto vuoto, un ennesimo spot affresco degli ottanta con un personaggio abbastanza compiaciuto nel suo cinismo, così come è abbastanza compiaciuto il film… Scorsese sembra un ragazzino preoccupato di risultare brillante a ogni inquadratura e dialogo
Il film e’ basato (fedelmente) su un libro, e’ costruito strettamente sul suo protagonista, e non vuole né essere un ritratto epocale o generazionale, ne porsi delle domande “alla Stone”. La stessa Wall Street si vede poco o niente.
Sì, capisco l’assunto preliminare di non farsi o porre domande (d’altronde, chi se le fa più), ingenuo e alla Stone, come scrivi, ma qui non ritrovo la densità e la pesantezza (in senso positivo) di CAsinò, ad esempio. Non è un ritratto generazionale, però per il taglio, la sceneggiatura e i dialoghi sempre belli in tiro, le musiche giuste, tendo a sovrapporlo un po’ a prodotti tipo Blow o American Hustle, e Di Caprio sembra replicare Gatsby