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SCUOLA A proposito della proposta del ministro Valditara (di Michele Illiceto)

Gli studenti stranieri in italia. assimilazione o inclusione

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
3 Aprile 2024
Manfredonia // Politica //

MANFREDONIA (FOGGIA) – Ha fatto molto discutere un post del ministro della P. I. Valditara a proposito del fatto che gli studenti stranieri in Italia si debbano “assimilare” ai valori della Costituzione Italiana. Non è tanto il richiamo ai valori della nostra Costituzione a insospettirci, ma che si sia fatto ricorso all’uso del termine “assimilazione”, il quale, forse, proprio in nome della Costituzione, non andava usato.

Il termine “assimilare” è proprio della biologia e della scienza dell’alimentazione, e, come si sa, fa riferimento al processo con il quale un cibo, dopo essere stato incorporato e mangiato, viene trasformato (cioè annullato) in elemento organico utile e funzionale al mantenimento dell’organismo stesso.

La domanda è: possiamo operare una trasposizione sul piano sociale e culturale – e quindi anche educativo e pedagogico – di tale modello puramente biologico? La risposta è certamene no! Altrimenti cadremmo in una forma di “darwinismo sociale”, che è sempre da condannare, visto che esso presenta un modello aberrante dove l’organismo più forte mangia e assimila a sé quello più debole.

Visto poi da un punto di vista psicologico, il termine assimilazione fa riferimento alla teoria di Piaget, secondo cui un organismo assimila ciò che è esterno – socialmente parlando diremmo ciò che è “straniero” – al proprio sé interno, solo alo scopo di poter sviluppare forme di adattamento. Eppure, lo stesso Piaget poi dice che non basta che l’organismo assimili l’esterno, ma che esso stesso si “accomodi”, trasformando se stesso, per meglio interagire con il mondo di fuori. Insomma, Piaget insegna che non vi è adattamento solo assimilando, ma anche accomodando se stessi alla novità di ciò che è cambiato all’esterno.

In altri termini, non vi è crescita se non lasciando interagire l’esterno con l’interno.

In sintesi, l’assimilazione è un meccanismo di difesa con il quale un organismo sociale (sulla falsariga di quello biologico e del sistema psichico) tende a proteggersi nei confronti di un eventuale indebolimento dovuto a un cambiamento provocato dall’ambiente esterno. Un cibo che viene assimilato viene prima “mangiato”, e quindi distrutto per il mantenimento dell’organismo stesso.

Ecco qui evidenziati sufficienti motivi per i quali il modello proposta da Valditara non può essere applicato nel campo sia educativo che culturale, e quindi alla scuola. In quanto, l’assimilazione è quell’atteggiamento che, in nome della propria identità (intesa in modo rigido), chi accoglie pensa di dover chiedere, a chi viene accolto, di sacrificare la propria. Ma in tal modo viene meno la base di ogni progresso sociale e culturale: quella secondo la quale è necessario mantenere le differenze quale risorsa e ricchezza sia per chi accoglie sia per chi arriva.

Ma la vera domanda da porre in tutto questo, riguarda quale idea dell’altro, e quindi dello straniero, si nasconde dietro questa proposta del Ministro.

A tal proposito, il filosofo sudcoreano di lingua tedesca, Byung-Chul Han, ha scritto: «Il tempo in cui c’era l’Altro è passato. L’Altro come mistero, l’Altro come seduzione, l’Altro come Eros, l’Altro come desiderio, l’Altro come inferno, l’Altro come dolore scompare. La negatività dell’Altro cede il posto alla positività dell’Uguale. La proliferazione dell’Uguale dà luogo a quei mutamenti patologici che infestano il corpo sociale. A renderlo malato non sono divieto e proibizione, ma ipercomunicazione e iperconsumo, non rimozione e negazione, ma permissività e affermazione. Non la repressione, bensí la depressione è il sintomo patologico del nostro tempo. La pressione distruttiva non proviene dall’Altro, ma dall’interno» (L’espulsione dell’Altro, Nottetempo, 2017, p.7).

La posta in gioco riguarda il rapporto tra identità e diversità. Valditara evidentemente ha una visione rigida di identità. Invece, come scrive E. Bianchi nel suo libro dal titolo Dall’incontro all’ospitalità: «L’identità non è statica ma dinamica, in costante divenire, non è monolitica ma plurale: è un tessuto costituito di molti fili e molti colori» (E. Bianchi, Dall’incontro all’ospitalità, Centro Astalli, Roma 2015, p. 17).

La scuola italiana, su questi temi – specie per l’ambito della disabilità – dal punto di vista legislativo e didattico, in questi ultimi anni, ha fatto passi da gigante. Siamo infatti passati attraverso almeno attraverso cinque fasi. In un primo momento, siamo passati dalla esclusione (i diversi lasciati fuori) alla segregazione (i diversi fatti entrare ma rinchiusi in luoghi a parte). In un secondo tempo, siamo passati ad una fase dove ha dominato la categoria dell’inserimento, dove anche se anche messi insieme ai cosiddetti normodotati, dovevano essi adattarsi agli altri. Poi si è cominciato a parlare di integrazione, e infine, finalmente, dall’integrazione oggi siamo in una fase in cui si parla di inclusione.

Ecco qui giunti al bivio sul quale dobbiamo scegliere: includere o assimilare? In un suo libro molto denso e bello, il filosofo Jürgen Habermas scrive che: «Inclusione non significa accaparramento assimilatorio, né chiusura contro il diverso. Inclusione dell’altro significa piuttosto che i confini della comunità sono aperti a tutti: anche, e soprattutto, a coloro che sono reciprocamente estranei o che estranei vogliono rimanere» (J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Milano, ed. Feltrinelli 1998, pp. 278).

Insomma, l’assimilazione è una forma velata di esclusione. Una forma nascosta di dominio.

Ma la proposta di Valditara disattende anche l’impostazione dell’Agenda ONU 2030, che fa dell’inclusione sociale dei migranti un suo punto essenziale. Infatti, nell’ambito dell’obiettivo “Ridurre le disuguaglianze all’interno e tra i paesi” e nel suo obiettivo 10.7, si legge quanto che si deve fare di tutto per «facilitare una migrazione ordinata, sicura, regolare e responsabile e la mobilità delle persone, anche attraverso l’attuazione di politiche migratorie pianificate e ben gestite».

Non si tratta allora di assimilare, ma di valorizzare le differenze e integrarle in maniera tale da non creare né processi di marginalizzazione (che generano conflitti e scontri culturali) né processi di accorpamento. Si tratta invece di mettere sul campo politiche capaci di proteggere e responsabilizzare lo sviluppo delle popolazioni mobili e delle comunità di accoglienza, tra gli altri.

La questione allora non è rendere simile a me il diverso, per paura che mi impoverisca, ma lasciarsi arricchire dalla sua diversità crescendo insieme nel rispetto della reciproca dignità. Come scrive a tal proposito sempre E. Bianchi: «La paura dell’altro è una sensazione paralizzante che va superata non rimuovendola bensì assumendola. Di fronte al sentimento della paura per l’incontro con lo straniero due sono infatti i rischi: negarne l’esistenza e quindi assolutizzare la differenza dell’altro, sacralizzare l’altro e rinunciare così alla propria cultura; oppure, al contrario, assolutizzare la propria identità intesa come esclusiva ed escludente, assumendo un atteggiamento difensivo dei propri valori fino a farne un presidio da difendere anche con la forza contro ogni minaccia reale o presunta all’identità culturale o religiosa. In entrambi i casi si dimentica che l’identità a livello sia personale che comunitario e sociale si è formata storicamente e si rinnova quotidianamente nell’incontro, nel confronto, nella relazione con gli altri, i diversi, gli stranieri. L’identità infatti non è statica ma dinamica, in costante divenire, non è monolitica ma plurale: è un tessuto costituito di molti fili e molti colori» (pp. 16-17).

Insomma, come ho scritto nel mio libro dal titolo Amore variazioni sul tema: «lo straniero è spazio sacro che rompe ogni cattura. Che allontana ogni tentativo di inglobare chi non ti appartiene, per evitare di controllarlo e dominarlo, di usarlo e di sfruttarlo. L’amore ti impedisce di integrare lo straniero imponendogli abitudini e verità che servono solo a ratificare il potere della tua identità. Non ti concede di appiattire le differenze e omologare a te la sua irripetibile unicità» (M. Illiceto, Amore. Variazioni sul tema, Andrea Pacilli Editore, p. 153).

Fonti verificate: odysseo.it //

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