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Scalfarotto a Stato: “Omofobia brutto male. Ma Foggia non è caso peggiore”

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
17 Gennaio 2012
Capitanata //

I 'figli Agedo' della sezione di Manfredonia (th: Gabriele Scalfarotto)
Foggia – IL FIGLIO di Gabriele Scalfarotto, Ivan, è un importante politico. Lui, Gabriele, è presidente dell’Agedo Foggia. Ivan, invece, dopo vent’anni di banca e cambi di residenza frequenti in giro per l’Europa, è riapprodato in Italia. Vicepresidente nazionale (nominato nel 2010, in tandem con Marina Sereni) del Partito Democratico, curatore di un blog seguitissimo, collaboratore de l’Unità e de Il Post, scrittore. Da poco ha dato alle stampe, per la casa editrice Piemme, il libro “In nessun paese”, nel quale racconta la battaglia quotidiana dell’omosessualità. Ivan è gay, dichiarato. Narrandosi in terza persona, nella self biography pubblicata su ivanscalfarotto.it scrive: “Oltre alla politica, ha alcune altre irrefrenabili passioni tra le quali quella per la compagnia degli amici, quella per i suoi gatti Fidel e Frida e quella per Federico, suo straordinario sostegno e grande amore“. Per questo, e per tanti altri motivi, Gabriele è presidente dell’associazione che riunisce i genitori di figli omosessuali.

“Ricordo ancora quando Ivan fece coming out“, si racconta a Stato Scalfarotto senior. Ivan veva 29 anni e conviveva, in una casa di Milano, con il suo compagno. “Era il giorno di Capodanno del 1996 – ricorda con un bel sorriso Gabriele – Io, ancora ignaro, sarei voluto andare a trovarlo. Lui me lo impedì, accampando una scusa. Ero molto arrabbiato. Poco dopo ci incontriamo a casa di un’altra mia figlia, lui mi guardò dicendomi: ‘A casa c’è un altro uomo’. In quel momento, realizzai che non potevo star zitto e, insieme, che non potevo permettermi di sbagliare. Una parola, una qualsiasi parola detta in quell’attimo avrebbe avuto valore universale ed eterno. Dissi la cosa migliore che potei, e che rifletteva appieno il mio stato d’animo: ‘Embè?’. Lui rise, io risi, ci abbracciammo”.

Ma non tutti i genitori accolgono la cosa come ha fatto lei, giusto?
Non tutti, no. Alcuni non l’accettano mai, altri impiegano anni per percepire e metabolizzare. A Manfredonia ci sono un paio di casi di ragazzi che, pur avendo famiglie in un qualche modo ben assortite, non riescono a trovare un equilibrio familiare. Uno tiene ancora tutti all’oscuro. Il padre del secondo, un bravissimo artista, quando ha saputo la notizia dal figlio si è allettato e da quel momento non si è più alzato. Tutto, perché l’omosessualità è recepita come una diversità. Diverso è ciò che non si conosce, l’altro da me. Come la morte. La si teme non in quanto conclusione di un cammino, ma in quanto ignoto, salto verso il buio.

Sta dicendo che non è l’omosessualità in sé a ingenerare reazioni estreme, bensì i timori di incomprensione?
Si, sto dicendo questo.

Non trova sia un atteggiamento ben più che egoistico?
Egoismo allo stato puro. Ho quotidianamente a che fare con casi del genere. So cosa succede nell’intimo di un genitore posto di fronte ad un figlio che confessa la sua omosessualità, la sua diversità. Immediatamente, ci si chiude dentro se stessi e, in serie, si rovesciano addosso due domande. La prima: “Ora chi mi guarderà più in faccia?” La seconda: “Dove ho sbagliato?” Inizia così un lungo quanto inutile ripercorrere della propria vita, alla ricerca del punto nodale della vicenda. Ci si interroga sulle influenze sulla famiglia, sulle scelte dei giochi e dei giocattoli, su cosa si poteva fare e non si è fatto o su quanto non si sarebbe dovuto fare ma si è fatto.

E i figli?
Chi reagisce in questo modo non ha per nulla briga di capire cosa pensano, sentono e credono i propri figli. Anzi, ai ragazzi presentano il conto. Che è un conto doppio. Isolati dai coetanei, agli occhi dei quali sono mosche bianche. Incolpati dai genitori. Ma cosa crediamo che gli adolescenti che si buttano giù da un balcone e che infarciscono le pagine di cronaca, sono matti suicidi che compiono il gesto estremo per un brutto voto? Un quattro in matematica si recupera studiando. Ma l’amore dei genitori e la stima dei compagni no.

Secondo un canone consolidato, la provincia di Foggia non brilla per progressismo valoriale. Sopravvivono vecchi ideali e vecchissimi pregiudizi. Qualche arditismo semantico si è spinto fino alla coniazione del termine Omofoggìa. Quanto pesa il fattore ambientale all’interno di questo discorso?
Pesa tanto, questo è sicuro. Ma, a costo di andare in controtendenza, non mi sento di parlare di Foggia e della Capitanata come un terreno fecondo per razzismi. E’ fuor di dubbio che, rispetto a contesti europei o internazionali, la piccola città, dove tutti sanno tutto, funge da deterrente alla comunicazione. Il timore è la diffusione della notizia. E, di conseguenza, il giudizio che ne viene. In compenso, devo dire che nessuno mi ha mai accolto con risolini o gomitatine o battutine. E poi la presenza di Arcigay e Agedo la dicono lunga sull’evoluzione culturale di questa terra. Ovvio, siamo ben lontani dal dire che l’omofobia sia scomparsa, ma siamo a buon punto.

Pure, pochi giorni fa, a Manfredonia si è verificato un altro caso di intolleranza…
Un ragazzo preso a sassate, già. Brutta storia. Ma sa, quando il cane morde l’uomo non fa notizia, ma se l’uomo morde il cane, allora inizia ad esserci subito curiosità. Se si arriva a discuterne, vuol dire che non è un atto che accade tanto di frequente. Comunque, c’è da fare il netto di quanti subiscono vessazioni e le patiscono in silenzio. Fermo restando che non è solo il gesto fisico a far male. Una pietrata, uno schiaffo, un pugno, un calcio lasciano indolenziti, ma guariscono. Quel che non passa facilmente è l’umiliazione di subire un’ingiustizia immeritata quanto cruenta.

Una “ingiustizia immeritata”…
Il gay, la lesbica, il trans, il bisesx vive la propria situazione come l’unica possibile. Agisce secondo quello che sembra. E’ la sua normalità. Purtroppo, il mondo l’ha abituato a credere che sia ‘diversità’ la sua. Tutto si gioca attorno a questa dicotomia normalità-diversità.

Chi decide la diversità e chi la normalità?
Nessuno, è impossibile. La normalità è un fatto quantitativo, numericamente ponderato. Immaginiamo un gruppo di dieci persone, di cui nove sono alte un metro e ottanta e uno un metro e quaranta. La normalità, per quel che riguarda la statura, la dà l’altezza dei nove e non dell’uno. Il che, tuttavia, non comporta l’esclusione dell’uno dal computo del totale o che la normalità sia, moralmente, il giusto assoluto. Negli anni 1938-1939, in Italia e in Germania il 90% della popolazione afferiva ad ideali fascisti o nazisti. Era considerata normalità. Ma sfido chiunque a dire che questo sia stato anche il giusto storico. Come se non bastasse, l’etero tende ad un protagonismo ipertrofico, ad estendere la sua normalità a livello concettuale e lessicale. A livello discorsivo. Non so se ci ha fatto caso, ma provi a sentire le lamentele di un qualsiasi uomo: “Ho litigato con mia moglie”: etero; “vado da mia suocera”: etero; “ho assistito ai colloqui dei miei figli”: etero. Anche il linguaggio è costruito su canoni discriminatori. Il gay, su argomenti simili, tende a glissare. O a deviare.

Senta Scalfarotto. Lei fa parte di un’associazione di familiari di figli gay. Eppure, oggi, famiglia ed omosessualità, anche in quanto a proposizioni politiche, tendono ad essere divaricati come concetti. Come mai?
Per una forzata interpretazione dell’articolo 29 della Costituzione della Repubblica Italiana. Ma io l’ho letto l’articolo. E lo leggo. Lo conosco. “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Parla di matrimonio ma non parla mai di uomo e non parla mai di donna. Si parla di diritti, questo si. E qui, al massimo, siamo di fronte alla loro negazione.

p.ferrante@statoquotidiano.it
riproduzione riservata

2 commenti su "Scalfarotto a Stato: “Omofobia brutto male. Ma Foggia non è caso peggiore”"

  1. L’Agedo è un’associazione che riunisce anche AMICI di persone omosessuali. Tengo a sottolineare questo aspetto perché lo ritengo fondamentale. Anche chi non vive il “problema” in prima persona perché ha un figlio o è un figlio omosessuale , ma accetta e vuole considerarsi AMICO e sostenitore di quella che è solo , come il titolo di un film “l’ altra metà dell’amore” sostiene l’Agedo. Lo è una dimostrazione questa immagine che incornicia l’articolo e che nella pagina web di Agedo è stata la cartolina natalizia di auguri. Molti di questi ragazzi sono AMICI. Miei cari amici che sostengono la mia causa pur non essendo omosessuali. Vi ringrazio pubblicamente, esprimendo tutta la stima e il bene che provo per voi. F.B.

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