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Macondo – la città dei libri

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
24 Aprile 2015
Cultura //

Logo macondo“Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito”. (Gabriel Garcia Marquez)
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∞ Uomini (e) no ∞
di Piero Ferrante
96e188b58dd86890ba6eadb54e03ccad0c1cbaa9fe317183cc3397dcProstituzione: provate a pronunciare questa parola pubblicamente. Un convegno, una riunione, un incontro. O anche durante una pizza tra amici. Provate a ripercorrere quelle situazioni di gruppo in auto, viaggiando sulle circonvallazioni ai margini delle città, battendo le statali e le provinciali puntellate di fuochi e seggioline abbandonate nelle piazzole di sosta. Quanti sghignazzi, tra quello che tira di gomito al vicino, quell’altro che sorride di sottecchi, e il terzo che esprime la goliardia in battute sempre uguali. Uomini, tutti. O presunti tali. Afflitti di machismo. Vogliosi non di sesso, non di piacere, ma di dominazione, del frizzante senso del potere che viene dal dettare i propri incondizionati diktat a chi è in posizione di debolezza.

Il senso di “Utilizzatori finali”, l’ultimo libro del giornalista Riccardo Iacona (Chiarelettere) è qui, in quest’ultimo ragionamento: il ragionamento cel’hodurista che prescinde ogni dignità umana, che frammenta la società tra chi fotte e chiagne. Ma a chiagnere, poi, sono sempre le stesse. Donne, talora ragazzette, abbandonate a un lavoro che non è lavoro, spogliate oltre che degli abiti, anche della loro provenienza, della loro identità, della loro fede, del proprio passato. “Gli uomini che vanno a prostitute” (perché Iacona lo mette in chiaro fin dalla prefazione che il libro è di questo che parla, non oggettivamente di prostituzione) lo sanno, ma lo considerano normale. Per loro, tutta la vita è una sveltina.

E così tra uno scandalo e un’inchiesta, tra un gruppo che organizza gite a sfondo sessuale e vecchi marpioni che paventano viaggi di lavoro per concedersi fine settimana di relax oltreconfine, Iacona traccia l’affresco impietoso d’un’Italia segreta e vanagloriosa. Di quella parte che si guarda allo specchio e tira in dentro la pancia per convincersi di essere in forma. Un’Italia sempre più simile, nella realtà, ai suoi cinepanettoni, alle commedie degli equivoci che non son più farse, ma affreschi. Eppure, anche l’Italia dei Pierino e delle Fenech conosceva il limite della dignità e si ritrovava più desiderare che ad avere, trovando godimento nello spiare dal buco della serratura la dottoressa avvenente.

Iacona ci spara in faccia la verità, descrivendo i cambiamenti di un Paese che ha visto modificare, nella miseria di settant’anni, il concetto di “uomo” (senza differenze sociali, religiose, di ceto, di credo politico). E ci fa capire come ormai stia un tempo infinito tra quell’impeto che muoveva Piero Calamandrei a dire che “è giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini”, mentre pensava “all’ora di resistere”, a questo, più animalesco, a tratti bestiale, di 2 milioni e mezzo di Italiani che iniziano a scopare virtualmente sin da ragazzetti, spalmati davanti allo schermo di un computer a desiderare donne di tutti. Un volere senza desiderio che non contempla l’errore meraviglioso del sentimento.

“Utilizzatori finali”, insomma, racconta di quell’Italia, cruda e denudata, dove le favole non hanno il lieto fine. Dove le principesse non somigliano alla Bella Addormentata, ma hanno il volto dolce e sofferente di Marinella e sono alla mercé di tanti principi, tutti diversi. Tutti belli fuori ma tutti, identicamente, rospi dentro.

Riccardo Iacona, “Utilizzatori finali. Sesso, potere , sentimenti. Il lato nascosto degli Italiani”, Chiarelettere 2014
Giudizio: 4 / 5 – sciroppo di verità
Da leggere ascoltando: Fabrizio De André, La canzone di Marinella
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∞ Recensioni al massimo: Il primo a uccidere
di Massimo Minimo
uccidTitolo: Il primo a uccidere
Autore: Paola Sironi
Editore: Todaro
Collana: Impronte
Anno: 2013
Strana famiglia quella dei Malesani: quattro fratelli, Flaminia, Valerio, Massimo e Fabio rimasti senza genitori in giovane età. La prima fa un po’ da chioccia agli altri ed è proprio lei ad accorrere in ospedale allertata da una telefonata. Massimo è stato, infatti, ricoverato in seguito a una brutale aggressione. Il tutto mentre le televisioni passano in continuazione le immagini dell’omicidio di una donna avvenuto fuori da un ipermercato. Raggiunta da Fabio, Flaminia viene a sapere che Massimo stava indagando sulla morte di un ragazzo a seguito di una caduta in un cantiere.

Il Malesani, sospettando qualcosa di poco chiaro, si era fatto assumere come lavoratore in quel luogo e, attirato evidentemente in una trappola, era rimasto vittima di un pestaggio a mo’ di avvertimento. Ma le cose stanno davvero così o nascondono qualcosa di più complicato, iniziato anni prima con la “strana” morte di una giovane? I quattro fratelli, che nel frattempo sono tornati a vivere sotto lo stesso tetto, non sono tipi da arrendersi facilmente e s’impegneranno per far venire a galla la verità.

I fatti ci vengono narrati in prima persona da Flaminia, che sembra essere la più assennata. Le dinamiche familiari si reggono su equilibri sottilissimi, per cui basta un nonnulla a farli saltare in aria. Fabio è quello più severo, in fuga da una compagna che lo assilla e in perenne conflitto con Massimo, intenzionato a godersi la vita e, soprattutto, le donne. Valerio resta forse un po’ ai margini della storia, pur non mancando di dare il proprio contributo. Altro personaggio è Rocco, un innocuo vecchietto un po’ invadente che Flaminia incontra all’ospedale e avrà un ruolo centrale nella vicenda. Brava l’autrice nell’alternare la trama gialla in senso stretto al racconto dei difficili rapporti fra i componenti della famiglia Malesani.

Il punto massimo:
Il primo a uccidere era una necessità e un’aspettativa: la base di ogni progetto per il futuro, non assimilabile al pericolo, ma alla sicurezza quotidiana. Il primo a uccidere avrebbe dovuto rappresentare la prima delle garanzie. Perché il primo a uccidere, in questa triste vicenda e prima di ogni altra considerazione, è un’idea, sempre più smarrita, di dignità. Individuale e collettiva. Il primo a uccidere uccide tutti i giorni, senza che ci facciamo caso. Uccide per la distrazione del profitto. E annienta per il vuoto di fondamenti, in cui lo stiamo lasciando precipitare.

La recensione è tratta da Libroguerriero, il sito della scrittrice Marilù Oliva
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