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Termini dialettali a Manfredonia relativi all’arte del barbiere

AUTORE:
Franco Rinaldi
PUBBLICATO IL:
4 Giugno 2018
Manfredonia // Ricordi di storia //

Manfredonia. Il maestro artigiano in loco, e non solo chi praticava il mestiere di barbiere, un tempo veniva chiamato “sumastre”. La bottega del barbiere invece andava sotto i nomi: “salone” (sala da barba), ”varvarije” (bottega o sala da barba), “varvire” (barbiere), “a puteje” (bottega da barbiere). Alcuni saloni più rinomati avevano anche l’insegna luminosa come: “Figaro qua” e “Pettine d’oro”. Altre botteghe, sempre in corso Manfredi, avevano le insegne di legno con sopra scritto: “salone”, “barbiere”, “sala da barba”. Termini dialettali relativi alla barba: “a varve” (la barba); “Varvute” (barbuto); “varvòdde” (barba di primo pelo dell’adolescente); “nzapuné” (mettere la schiuma da barba con il pennello sul viso del cliente- il termine in vernacolo “nzapuné” in loco significa anche lucrare per i propri interessi); “l’ò fatte pil’e ccòndrapile” (due passate di barba con il rasoio). Quando durante la rasatura della barba si creava qualche piccolo taglio sul viso, si utilizzava “a streggende” (matita emostatica). Un tempo per affilare il rasoio da barba si utilizzava “a prote de Bbelge” (la pietra di Belgio) per la prima affilatura del rasoio “u rasile” e successivamente con “a strappe” (cinghia di cuoio) per l’affilatura finale del rasoio. Fino agli anni ’50-’60 in alcuni barbieri c’era l’usanza, prima di fare la barba ai clienti “sgagnéte” sdentati, mettere in bocca “a pallòtte lisce” (piccola sfera liscia) per facilitare la rasatura della barba. Il detto in loco: “l’o fatte varv’è ccapille” (gli ha fatto barba e capelli, si riferisce anche a una persona che viene defraudata). Quando una persona si taglia i capelli a zero vige tuttora a Manfredonia il modo di dire: “uagliò cumì ti si carusete ?”.

Era usanza dei barbieri fino agli anni ’80, pulire il rasoio intriso di schiuma di barba rasata del cliente su una carta della schedina del totocalcio. Dopo la rasatura della barba il barbiere passava sul viso per disinfettare e tonificare i pori “allume de Rocche” (una sorta di pietra liscia trasparente) e poi spruzzava sul viso “l’acque d’odore” acqua di colonia profumata. “I pile ngarnéte” (peli che non hanno punte, che nascono solitamente sul collo, che provocano anche piccoli foruncoli e si eliminano con una piccola pinzetta). Termini dialettali relativi al taglio dei capelli: “capille all’ Umbèrte” (un tempo si usava portare i capelli corti con sfumatura alta con un ciuffetto a spazzola sulla fronte con riferimento a Re Umberto I); “capille alla Mascagne“ (capelli alla Mascagna, capelli portati come il grande compositore Pietro Mascagni- pettinati e tirati all’insù “senza scrume” senza riga ); “capille pu ciuffette” (capelli tagliati molto corti con un ciuffettino d’avanti al capo); “u tattamelone” o “u caruse” (testa con capelli completamente rasati). Un tempo i maestri delle scuole elementari, facevano rasare a zero i capelli dei loro alunni, perché molti avevano i pidocchi in testa); “capille alla Garsòn ” alla Garconne (un tempo capelli tagliati con il ciuffetto alla francese con il segno “u singhe” dritto dietro al collo-oggi taglio corto di capelli molto in voga anche tra le donne); “capille pa sfumatura vasce” (capelli con sfumatura bassa di collo); “capille a spazzele” i capelli tagliati a mò di spazzola; “capille pa scrume a mizze” (capelli tagliati corti, un tempo unti con olio profumato e poi dal 1946 con la brillantina Linetti e portati con la riga al centro del capo). Moda in voga durante il periodo fascista, ma anche nel dopo guerra); “capille pi basette longhe alla cucchjire” (i capelli con basette lunghe portate come i cocchieri).

Mi riferiva mastro Riccardi che i capelli più fastidiosi da lavorare con la macchinetta a mano erano “capille a zengune” (erano i capelli lisci, perché durante il taglio saltavano). “I capellune” erano i giovani degli anni ’60-’70 erano “odiati” dai barbieri perché raramente si tagliavano i capelli e quando lo facevano mi riferiva tempo fa il capomastro Riccardi, erano anche fastidiosi da lavorare per adattarli al viso del cliente. Vari tipi di capelli in vernacolo: “capille a bbocchele a bbocchele” o “pu ricciolotte annanze”(capelli a boccolo); “capille liscie” o “a spaghette” capelli lisci (un tempo le mamme quando i capelli del figlioletto erano lisci utilizzavano “u firre” un utensile di ferro a forma di U che mettevano a riscaldare nel braciere e quando l’attrezzo era diventato tiepido avvolgevano i capelli lisci del bambino intorno all’arnese per fare il boccolo); “capille ricce o recciòtte” (capelli riccioluti); “capille a ciòrle” (capelli arruffati che cadono vicino gli occhi); “capill’a llènapenne” (capelli fluenti); “capille pi cirrematte” (capelli con ciuffo a vortice); “capille a spazzele o a zengune” (capelli portati a mò di spazzola); “capille alla Beat” o “capelline” (capelli portati lunghi alla Beatles in voga negli anni delle contestazioni giovanili ’60-’70).

La biancheria utilizzata per i clienti: “a tuuagghie” (per il taglio della barba), “accappatoie” (panno che avvolge il cliente per proteggerlo dai capelli tagliati); mentre il barbiere fa proprio uso di un asciugamani “mannile”, di un accappatoio e di uno straccio per pulirsi le mani sporche di schiuma “scume” di sapone.

Quando il cliente chiedeva: “sumà famme u complete” voleva essere fatto barba, capelli e sciampo, oppure ordinava al capomastro “famme n’assuzzéte de capille” (fammi una buona tagliata di capelli). Alcuni frequentatori della bottega per curare il cuoio capelluto facevano anche “a frezziòne”. Quando il capomastro barbiere completava il suo lavoro per il cliente, soleva dire: “servito” poi rivogendosi all’apprendista “ragazzo spazzola”. Questi subito dopo aver spazzolato perbene il cliente “pa scupètte”, puliva con la scopa i capelli a terra intorno alla poltrona tagliati dal capomastro al cliente. Alcune botteghe in loco avevano per i clienti anche il servizio di doccia.

Era consuetudine, quando il barbiere finiva di tagliare i capelli a un bambino, un tempo utilizzava la tosatrice a mano “a macchenètte”, a conclusione del taglio dei capelli soleva passare il pennello intriso di “pòmbiciprje” borotalco “sopu cuzzette” (dietro la nuca) e dargli un affettuoso schiaffetto dicendo: “famme vedì azzècche u cuzzette !” Un tempo il taglio dei capelli corti (in particolare per i bambini) veniva effettuato con la tosatrice a mano per capellila, che spesso pizzicava perché non tagliava bene i peli, mentre per i capelli normali si utilizzavano (come tuttora) forbici e pettine; mentre “u cuzzette e i basette” si lavoravano (e si sistemano tuttora) con il rasoio a mano. Tra i ferri del mestiere il barbiere utilizzava e tuttora adopera: “rasule” (rasoio), “u sfelezzine” (rasoio utilizzato tuttora dai maestri barbieri per graffiare i capelli), “spazzuline” (pennellessa), “pennille da varve” (pennello da barba), fòrbece (forbici da barbiere), sègge de pagghie (sedia di paglia un tempo utilizzata come poltrona per i clienti), “pèttene” (pettine da barbiere), “scupette” (spazzola), “tazze pe nzapunè” (contenitore per insaponare), “a prote” (mola per il rasoio), “acque d’odore” (acqua profumata spruzzata sul viso come dopo barba), “machenette a mene” (macchinetta a mano per tagliare i capelli).

Quando eravamo ragazzi, nella conta dei giochi, per chi tra quelli che partecipavano doveva andare sotto, eravamo soliti dire: varvire, varvire, varvire, quanda varve ha fatte ajire, ha fatte vindiquatte… june duje tre e quatte…mè va sotte! Nel periodo natalizio, in particolare a Capodanno, il capomastro regalava ai clienti abbonati un calendarietto tascabile profumato solitamente con donnine senza veli, ma anche piccole agendine del campionato di calcio di serie A, opere liriche, etc. Nelle antiche botteghe da barbiere le sedie “i seggiune” da lavoro per i clienti erano di legno e di lato in un angolo c’era persino la sputacchiera. Agli inizi del ‘900 le sedie di legno furono sostituite da poltrone meccaniche in porcellana coperte di ghisa, girevoli a 360 gradi e con sistemi idraulici per sollevare e abbassare le poltrone. Fino al 1927 siccome non c’era acqua corrente a Manfredonia i barbieri utilizzavano acqua piovana conservata in una “bbrocche” brocca. L’acqua per l’occorrenza veniva versata in una “bbacenèlle” bacinella poggiata su un portacatino di ferro e utilizzata per bagnare il pennello da barba e lavarsi le mani.

Alcuni habituè (clienti abbonati) erano soliti farsi pettinare tutti i giorni, spuntare “spundatelle” i capelli ogni settimana, farsi tagliare, appena crescevano, i peli nel naso e nelle orecchie, “c’iaggiustavene i mustazze” si facevano mettere a garbo i baffi ogni quattro o cinque giorni, pagavano il servizio al mastro barbiere mensilmente. Sempre tra i clienti c’erano “i zelluse” (i cavillosi) che quando si tagliavano i capelli non doveva stare un pelo fuori posto, costringendo il barbiere a fare doppio lavoro ed a innervosirlo in particolare nei giorni (di sabato e di domenica mattina) allorquando quando la bottega era piena di clienti da servire.

***Il termine “maste o mastre”, maestro artigiano viene usato soprattutto davanti al nome proprio, mentre “sumastre” si riferisce al maestro artigiano.

(A cura di Franco Rinaldi, cultore di storia e tradizioni popolari di Manfredonia)

FOTOGALLERY ARCHIVIO FRANCO RINALDI

prima pubblicazione gennaio 2017

3 commenti su "Termini dialettali a Manfredonia relativi all’arte del barbiere"

  1. Ottimo articolo, un neo, quando entrava gente di rispetto, dovevi salutare e in segno di rispetto dovevi alzarti e recitare rispettosamente la parte di cedergli il posto anche in corso d’opera di rasatura barba e capelli..

  2. E i piccoli calendari arrapanti con donne allanute avvolte dal serpente? E i forbiciamenti e la collezione dei settimanali la domenica del corriere?

  3. …..mentre negli anni 70 si usava dire…vuaglio ta fatt a capllun quando vigeva la moda del taglio alla Gary Glitter..

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