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Il caciocavallo podolico di Rignano gelato in quel di Imola

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
4 Dicembre 2017
Gargano // Manfredonia //

Imola – Rignano Garganico. Bartolo produce gelato artigianale e in occasione del Baccanale 2017 (anche se ultimato qualche giorno fa) ha presentato nel suo laboratorio anche altri prodotti italiani e stranieri. I suoi seguaci del gusto estremo hanno infatti finora degustato gelati realizzati con: Pepe di Szechuan; Zafferano; Barbabietola; Patate e rosmarino; Pane cunsato siciliano; Parmigiano Reggiano; Zucca; ed altro. Non aveva mai preparato un gelato al caciocavallo podolico, presidio dello Slow Food. E per realizzare la sua opera gastronomica ha scelto un caciocavallo invecchiato ben 24 mesi, realizzato nel più piccolo comune del Parco Nazionale del Gargano dalle sapienti mani di un esperto pastore del luogo. Chi volesse assaggiarlo o prenotarlo può contattare direttamente il laboratorio di gelati artigianali di Bartolo o recarsi direttamente in Gelateria a Imola, in Via Emilia 281.

La nobile arte del casaro  di  caciocavallo e di altri derivati del latte, è tra i mestieri antichi che, ancora oggi, sono attivi a Rignano Garganico, di certo quello  più apprezzato dentro e fuori del paese è il casaro di caciocavallo e dei derivati del latte di mucca podolica. La dice lunga lo scritto che segue, estrapolato in larga parte dal volume di Angelo ed Antonio Del Vecchio “Rignano Garganico / Viaggio segreto nel più piccolo comune del Gargano”, Araiani, 2009, pp. 120, ritenuto una delle “guide” a carattere turistico tra le più complete ed originali della Capitanata. Non tutti sanno che il caciocavallo podolico è considerato uno dei formaggi più genuini e gustosi d’Italia. Lo è in particolare quello rignanese, premiato più volte nei saloni gastronomici del Nord Italia. Lo è per varie ragioni. In primo luogo perché lo si fa con il latte della mucca podolica, una razza autoctona che si alleva allo stato brado solo dalle nostre parti ed è per motivi di territorio un erede diretto di quel “bos primigenius” ossia l’uro , bovide di grandi dimensioni, estintosi  alcuni secoli or sono, di cui sono emerse tantissime testimonianze a Grotta Paglicci, sia in termini di resti fossili sia di graffiti parietali e mobiliari.

Altri studiosi, basandosi sul nome, ne  fanno derivare la razza  dalla Podolia, una regione dell’Ucraina, importata e diffusasi nella Penisola  ai tempi delle invasioni barbariche. La particolarità del sapore si deve pure al tipo di erbe odorose e rare che l’anzidetta mucca ha la possibilità di assaporare in dette zone. Il resto al tipo di lavorazione ar4tigianale e all’ambiente di stagionatura, quasi sempre luoghi umidi e freschi, come scantinati ed ipogei in genere. Di questo ne è fermamente  convinto  un grande scienziato garganico, Padre Michelangelo Manicone, che nella sua Fisica Appula afferma che la esclusiva bontà del prodotto si deve alla bravura dei “massari rignanesi” che  nella lavorazione non hanno pari altrove. Si tratta di un’arte benedetta, i cui segreti si tramandano tra gli addetti da secoli. L’ultimo detentore-maestro rimasto in paese è Massar Michele Pazienza, 75 anni, che dopo un’intera vita dedicata al settore, ora si diletta ad insegnare il mestiere di casaro ai “massarotti” di oggi. Per gustare un buon caciocavallo occorre una stagionatura di almeno sei mesi e non di più di un anno, dopodiché, pur conservandone intatto il sapore originario, si fa duro e si sfarina, opponendosi così ad ogni taglio a spicco o a ruota.

L’unico inconveniente si deve alla sua scarsa commercialità dovuta principalmente alla quantità relativamente molto bassa rispetto alla richiesta. Per cui si parla molto spesso di prodotto di “nicchia”, cioè di un ambito ristretto e sufficiente a soddisfare pochi “eletti” dal palato fino. Da qui la sua fama di dono prelibato da corrompere, come i capponi di Renzo, persino il più morigerato destinatario. Di recente anche la carne di mucca podolica è diventata presidio dello Slow Food. Un risultato, quest’ultimo, che si aggiunge agli enormi sforzi effettuati in tale direzione dagli allevatori, in primis da Francesco De Majo, fino a qualche tempo fa, presidente nazionale di lungo corso dell’Associazione allevatori di bovini podolici e dal suo ex- massaro Pazienza, che hanno trasferito entrambi i testimoni di questa annosa esperienza a Giuseppe Bramante e alla sua  rinomata azienda bio – zootecnica di  Paglicci, dal 1999 curata con passione da Vullnet Alushani, massaro –casaro di origine albanese, dopo averne appreso inizialmente l’arte da due valenti maestri del luogo (Salvatore Piccirilli e Luigi Tenace). Ecco la tecnica di lavorazione del caciocavallo, coltivata e praticata in stretta osservanza della tradizione di questi luoghi. Metà del latte munto viene riscaldato a 50-60° C. e aggiunto alla restante quota, opportunamente filtrata, per poter avere una temperatura di 35-36° C. In circa 60 minuti si ottiene la cagliata.Viene utilizzato caglio a pasta di vitello o di agnello o capretto. Il tipo di caglio utilizzato, infatti, determina il tipo di caciocavallo che si vuole ottenere: dolce per il caglio di vitello, piccante per il capretto o agnello. Raggiunta la consistenza voluta, si procede alla fase di rottura della cagliata con grumi di dimensioni simile alla nocciola.

La pasta sminuzzata è lasciata riposare per trenta minuti; si estrae, poi, il siero, questo si riscalda a 45-46° e si aggiunge di nuovo alla pasta. Il processo viene ripetuto due volte aggiungendo il siero – innesto. Filatura e preparazione della forma. Raggiunta la maturazione, la cagliata viene estratta e posta ad asciugare per circa un’ora su di un ripiano di legno leggermente inclinato. Viene, quindi, tagliata dapprima in grosse fette e successivamente in fette più sottili che vengono poste in un “tinaccio” dove sono lavorate a 85° C.Si lavora la cagliata fino a raggiungere la condizione di filatura e viene plasmata e modellata energicamente a mano fino ad ottenere la forma desiderata con la parte interna senza vuoti ed esterna liscia.

La chiusura si ottiene immergendo brevemente la zona apicale in acqua bollente facendo pressione sui lembi dell’apertura.Dopo il raffreddamento in acqua fredda le forme vengono salate mediante immersione in salamoia per un periodo fino a 48 ore. Così le forme ottenute, il cui peso oscilla fra 2,00 e 2,200 Kg., vengono legate a coppie e vengono sospese “ a cavallo” a delle pertiche ( da qui il termine di cacio a cavallo) per l’areazione per circa 15 giorni per poi essere messi a stagionatura nei luoghi sopra descritti.L’arte del casaro non si ferma al caciocavallo ma si estende anche alla lavorazione di altri derivati del latte. Da qualche anno la “quagghiata” si accompagna, infatti, al Presepe Vivente con la messa a punto della relativa bottega. Si prepara e si cuoce il latte, di solito interamente di mucca podolica, con il lievito, quasi sempre, di vitello o di agnello. Quindi, si lavorano i latticini, come sopra (mozzarelle, nocchette, bocconcini, trecce, ecc.) e si serve dal vivo la clientela dei visitatori. Tutto questo è possibile grazie all’impegno del predetto ed ancora attivo massaro e ai suoi aiutanti, piccoli e grandi che siano. 

(A cura di Antonio Del Vecchio, Rignano Garganico 04.12.2017)

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