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Stretta sull’amianto: impresa e manager sono responsabili

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
28 Agosto 2012
Casi e Sentenze // Manfredonia //

Associazione esposti all'amianto (archivio, fonte image: ambienteambienti.com)
L’IMPRESA è responsabile per tutta la durata dell’esposizione all’amianto essendo del tutto irrilevante la tesi della dose killer, e cioè dell’esposizione iniziale che da sola può aver provocato la malattia. Non solo. I manager rispondono di omicidio colposo anche se il lavoratore è morto in età avanzata. La Cassazione, con la sentenza n. 33311 del 27 agosto 2012, adotta di nuovo la linea dura contro le industrie che espongono o hanno esposto gli operai all’amianto senza le giuste cautele. Di più. La quarta sezione penale, intervenendo sul caso Fincantieri Porto Marghera, ha inoltre reso definitivo il risarcimento del danno, oltreché ai parenti delle vittime, anche alla Regione Veneto. Stessa sorte per l’Inail e le associazioni sindacali. Confermando le motivazioni della Corte d’appello di Venezia, i giudici hanno spiegato che correttamente la sentenza impugnata ha chiarito come da una conclusione scientificamente non contestabile dello studioso Irving Selikoff si era giunti a elaborare l’inaccettabile tesi secondo la quale poiché l’insorgenza della patologia oncologica era causata anche dalla sola iniziale esposizione (cosiddetta «trigger dose» o «dose killer»), tutte le esposizioni successive, pur in presenza di concentrazioni anche elevatissima di fibre cancerogene, dovevano reputarsi ininfluenti.

Questo ha trovato una conferma decisiva anche nei risultati delle perizie. Infatti, ha osservato Piazza Cavour, la molteplicità di alterazioni innestate dall’inalazione delle fibre tossiche necessita del «prolungarsi dell’esposizione». E ancora, da questo lungo periodo «dipende la durata della latenza e, in definitiva della vita, essendo ovvio che a configurare il delitto di omicidio è bastevole l’accelerazione della fine della vita». Pertanto, non significa nulla affermare che alcune delle vittime morirono in età avanzata. «La morte, infatti, costituisce limite certo della vita e a venir punita è la sua ingiusta anticipazione per opera di terzi, sia essa dolosa, che colposa».

Ciò a maggior ragione se si pensa che l’accumulo all’interno dei polmoni delle fibre, continuando l’esposizione, non può che crescere. Infatti tale accumulo tende a diminuire solo 12 anni dopo la fine dell’ultima esposizione. Questo è confermato dagli studi fatti sull’Eternit per Casale Monferrato che, ad avviso del Collegio di legittimità, possono essere applicati anche a casi come questi in cui i materiali lavorati erano prevalentemente di amianto ma contenevano la sostanza tossica. Per dirla con le parole dei giudici, sussiste «il nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del datore di lavoro di idonee misure di protezione e il decesso del lavoratore in conseguenza della protratta esposizione alle polveri di amianto, quando, pur non essendo possibile determinare l’esatto momento di insorgenza della malattia, deve ritenersi prevedibile che la condotta doverosa avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul tempo di latenza».

(A cura di Debora Alberici del 28/08/2012 – Italia Oggi)

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