Edizione n° 5338

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Macondo – la città dei libri

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
12 Gennaio 2013
Stato news //

“Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito”. (Gabriel Garcia Marquez)
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∞ Giustizieri capitolini ∞
di Roberta Paraggio


Diciamoci la cruda verità, Roma non è San Francisco e Umberto Lenzi non è Brian De Palma, arrendiamoci una volta per tutte all’evidenza per non scadere nel ridicolo. Noi abbiamo il Trucido e lo sbirro, Er Monnezza e la Polizia che si incazza o che vuole giustizia. Poi, tra tutto questo poliziottesco leggermente pecoreccio abbiamo Romano De Marco, autore di “Ferro e fuoco” edito dalla casa editrice Pendragon che ha trovato quasi il giusto mezzo. Un violentissimo commando armato fino ai premolari si aggira per Roma compiendo rapine col morto in maniera più che imprevedibile, folli criminali soprannominati dai pennivendoli di turno “ I quattro Cavalieri dell’Apocalisse” che devono essere presi nel più breve tempo possibile.

Per fortuna c’è il capitano Rinaldo Ferro, una sorta di Tomas Milian travestito da Steven Segal, una specie di Charles Bronson senza baffi che si muove come Bruce Lee ma che non ha gli occhi a mandorla, è il commissario giustiziere che tutto sa che tutto risolve e che tutto comanda, dal passato ombroso e dai modi truci, un Death Wisch capitolino che torna dall’oscurità. Romano De Marco è bravo nel mescolare il thriller con le dinamiche narrative del giallo cinematografico e una piccola dose di splatter a colpi di machete, peccato per i personaggi che si prendono troppo sul serio, per i dialoghi poco originali. Ferro è un duro, talmente duro da sembrare uno scimmiottamento, talmente di cobalto da ad arrivare a somigliare al rinnegato della famosa serie tv. Ecco, l’eco televisiva, le reminiscenze di un certo tipo di fiction di gran moda negli ultimi periodi sono queste le cose che privano questo romanzo di quella specialità che pure presagiva. De Marco si perde in piccoli stagni di parole, in momenti in cui la tensione cala al momento sbagliato, troppe cose che purtroppo ci si aspetta…

Romano De Marco, “Ferro e Fuoco”, Pendragon 2012
Giudizio: 3 / 5 _ Peccato…
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∞ Il fantasma di Verne ∞
di Piero Ferrante


Non tutte le pennellate sono quelle di Van Gogh; non tutte le voci sono quella di Eddie Vedder; non tutti gli spartiti sono quelli di Guccini. Non tutti i film sono “Miracolo a Milano”; non tutti gli attori sono Gian Maria Volonté; non tutte le parole fanno, insieme, una poesia. Non tutti i progetti sono rivoluzioni; non tutte le stelle fanno avverare i desideri; non tutti i fiori sono rose.

Non tutti gli scrittori di fantascienza sono Jules Verne. Verne, che ha fatto volare l’uomo nei cieli e nello spazio quando l’uomo faceva fatica a stare con i piedi saldi in terra. Verne, che ha portato un’umanità di non palombari sott’acqua; Verne, che ha brevettato il sogno dell’avventura, l’ha coniugato con l’(apparentemente) impossibile e declinato con il probabile fino al punto apicale, fino alla produzione di romanzi quali ‘Michele Strogoff’, ‘Il giro del mondo in ottanta giorni’, ‘Ventimila leghe sotto i mari’. Verne, che, come e forse più di Salgari, ha preso per mano generazioni di piccoli lettori, conducendole sul declivio della letteratura e rovesciandogli addosso frane di parole e slavine di racconti.

Verne che, quando il sole scandiva l’anno 1892, dette alla luce il magnifico feto chiamato “Il castello in Transilvania”, riedito in Italia lo scorso autunno da Piano B a 120 anni dalla sua prima uscita. Vale a dire, cinque anni prima dell’esplosione del ‘Dracula’ di Bram Stoker che eterificherà la regione rumena all’altare della scrittura. Un lungo racconto tanto celato quanto affascinante, quello firmato da Verne, in cui tutto ruota attorno alle vicende del villaggio di Werst e del suo castello abbarbicato in vetta ad un monte. Un villaggio particolare, quello di Werst. Piccolo. Anzi, nucleico: isolato dal mondo, una strada principale, una sessantina di case in tutto e non più di duecento abitanti. A popolarlo, un’antropologia stramba: un giudice ingordo, un maestro che non insegna che leggende popolari e qualche nozione essenziale, un oste superstizioso e insicuro, un medico acerrimo nemico della scienza. Su tutto, un maniero apparentemente abbandonato, arroccato sui Carpazi, possesso di una famiglia di baroni, i de Gortz, il cui ultimo rappresentante, Rodolphe, è scomparso d’improvviso per inseguire il suo sogno migrante di girare l’Europa. Ma quando, d’un tratto, uno dei camini della torre centrale ricomincia a fumare, tutti, nel paese, credono che sia il diavolo in persona ad avervi trovato albergo. Vuoi per l’aspetto sinistro che lo contraddistingue; vuoi per tutta una serie di fenomeni minacciosi e sovrumani che vi si verificano intorno. Così, quando il giovane conte Franz de Telek s’impegna nel fare luce su quanto accade, contrastando le teorie superstiziose degli abitanti di Werst con la sua urgenza di razionalità, tutti sono ben soddisfatti di lasciargli campo. Ben presto, però, il nobile dovrà scontrarsi con eventi che travalicano le sue convinzioni: un amore creduto morto da tempo che, invece, ritorna, un avversario che vuole vendetta e che tutto sa e muove, e quel castello che si credeva abbandonato e che, invece, è ancora abitato.

Come una sigaretta proibita fumata di nascosto dallo sguardo degli adulti, come un bacio rubato alla foto dell’attrice stampata su una rivista patinata, come un goal segnato all’ultimo minuto nel torneo di quartiere, “Il castello in Transilvania” è capace di condensare, nel soffio di 150 pagine, senso di ribellione, estasi amorosa, brivido adrenalinico. E poi azione, mistero, follia. Un libro appassionante, potente e letale. Imperdibile per i cultori del genere, necessario per i patiti di Verne, obbligato per tutti quanti amano ancora stupirsi con la letteratura classica, che adorano la semplicità complessa delle minuziose descrizioni, che amano impiegare il tempo fabbricandosi i paesaggi nella mente. Un libro degno di essere impilato, e a tutto merito, accanto alla produzione più autentica dello scrittore francese, catalogato nello scaffale dei senza tempo.

Jules Verne, “Il castello in Transilvania”, Piano B 2012
Giudizio: 4 / 5 – Evergreen
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SCELTO DA MAMMEONLINE
di Donatella Caione

“Signori Bambini” (Daniel Pennac, Feltrinelli)
C’è già un bel po’ del Pennac di Diario di scuola in questo libro di dieci anni prima in cui Pennac fa un bellissimo ritratto di un prof di quelli che pare abbiano come unico scopo quello di far perdere la voglia di studiare, di leggere, di scrivere, di amare le lettere e complessivamente la scuola, a generazioni di studenti:
“Una donna o un uomo più che maturi si svegliano tutte le mattine, si lavano i denti quasi privi di gengive, valutano il cascare di un seno, la flaccidità di un doppio mento, aprono una lettera dell’erario, provano una stizza da bambino incompreso di fronte all’ostrogoto intimidatorio della pubblica amministrazione, rimandano la risposta all’indomani, afferrano la loro cartella da prof, si infilano nella metropolitana con in bocca un avanzo di pane e burro e una mezz’ora dopo guardano dall’alto in basso una ragazzina di dodici anni e tre mesi:(…)”
Un prof che un giorno dà un compito per punizione a tre suoi alunni dodicenni:
“Una mattina ti svegli e ti accorgi che, durante la notte, sei stato trasformato in adulto. In preda al panico, ti precipiti in camera dei tuoi genitori: Loro sono stati trasformati in bambini.

Racconta il seguito”

e succede che il tema diventa realtà e… nel gran caos che ne deriva ognuno impara qualcosa, per primo proprio il prof che poi Pennac, dopo avercelo fatto tanto detestare, ci porta a perdonare.
E a riflettere: i bambini, gli adolescenti desiderano diventare grandi: autonomi, liberi, capaci di decidere per se stessi… i grandi invece, i loro genitori, conoscono le difficoltà dell’essere grandi, il dover provvedere alla famiglia, dover decidere dei propri figli e non riescono a capire come facciano i ragazzi a non ritenersi fortunati… e quanto loro grandi vorrebbero tornare al loro posto!
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LA CLASSIFICA DEI LIBRI PIU’ VENDUTI DELLA SETTIMANA (Libreria STILELIBERO FOGGIA, pagina fb: qui)
1. Tim Willocks, “Il fine ultimo della creazione”, Cairo 2010
2. Tim Willocks, “Re macchiati di sangue”, Revolver 2012
3. Matteo Strukul, “La ballata di Mila”, E/O 2012

LA CLASSIFICA DEI LIBRI PIU’ VENDUTI IN ITALIA (fonte: ibs.it)

1. Andrea Camilleri, “Il tuttomio”,Mondadori 2013
2. Emmanuel Carrère ,“Limonov”, Adelphi 2012 2012
3. Luis Sepùlveda,“Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico”, Guanda 2012
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MACONDO IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA

1 commenti su "Macondo – la città dei libri"

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Non ci resta tanto tempo. Il sogno non diventa realtà da solo: bisogna corrergli dietro. (Carlito’s Way)

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