Edizione n° 5336

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Primarie, Foggia non è Genova

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
14 Febbraio 2012
Editoriali //

“NON ha vinto un partito, bensì una domanda di rinnovamento. Doria è il risultato della sobrietà, del rigore intellettuale, della capacità di ascolto, della civiltà del dialogo, dell’investigazione sociale”. Parola di Nichi tratta dal Vangelo secondo Marco Doria, vincitore delle primarie di Genova. Ma a rendere grazie a Nichi non sono poi proprio tutti, nel day after della sbronza ligure. Per esempio l’attuale sindaco di Genova ora in cammino per diventare ex, la piddina Marta Vincenzi (quella delle lacrime di fronte alla città inondata), se la prende con il suo partito e si innalza a martire: “Sono come Ippazia”. Partito in cui iniziano ad accendersi le prime pire sacrificali. Il segretario provinciale Victor Rasetto e quello regionale Lorenzo Basso sono finiti al rogo non senza aver prima vestito il saio di novelli Giordano Bruno, e affidato alla stampa il loro Candelaio predicante la fine della presa politica del Pd: “Inutile far finta di niente”.

Nell’onda di perseguitati e persecutori, di vincitori e di sconfitti, di sarcasmo e vecchie battute, il flusso ha finito col lambire anche le spiagge daune. Le primarie al pesto non hanno prodotto note ufficiali dei partiti. In compenso, il web è un pullulare di prese di posizione, fra post d’entusiasmo, stati di profili riflessivi, note di scoramento ed altre di giubilo. Vendoliani da un lato e piddini dall’altro, provano a leggere, con esiti diversi, fra le righe dell’esperienza genovese i prodromi di una possibile espansione del fenomeno, spesso non ricordando che l’esperienza originale è incominciata, nel 2005, proprio a partire dalla Puglia. In realtà, Foggia non è Genova. E non è Napoli, non è Cagliari, non è Milano. Foggia è semplicemente Foggia e difficilmente – molto difficilmente – sarebbe possibile innestare un cambio di rotta. In primissima battuta, perché non ci sono uomini di levatura, tecnici capaci di sollevare le speranze di un contesto sociale in frantumi. E, anche se ci fossero, sono indisponibili a mettere le mani nella melma amministrativa. E, poi, per la pochezza della base vendoliana. La Fabbrica di Nichi è cosa vecchia e fumosa; Sinistra ecologia e Libertà un cerbero traballate e rabbioso. Traballante per la scarsa preparazione e la nulla partecipazione della sua classe dirigente, per l’indecisione ideologica, per la totale assenza dalle amministrazioni, per la presa zero sui cittadini. Rabbioso per la ferocia con cui difende e marca i confini dell’interesse, con i suoi vertici sempre pronti ad usare il partito per ottenerne incarichi e a spartirsi la tonaca del Presidente.

In tal fatto spaccato, quello di un vendolismo ideologicamente e politicamente acerbo, i democrats hanno vita più che semplice. Con il minimo sforzo ottengono i massimi risultati. La storia della (ri)composizione della Giunta di Foggia è la prova provata di questa teoria. Di fronte alle chiassate nuoviste e pseudo progressiste, il Pd ha mantenuto il tutto il self control della realpolitik. Incontri mirati, indiscrezioni al minimo sindacale, comunicati stampa stile prima repubblica. In sostanza, il partito di Paolo Campo perde terreno elettorale e guadagna posti al sole.

D’altra parte, il lustro di Sel è più marcato al di fuori dei confini regionali che fra i lidi pugliesi, dove, grandi centri compresi e Foggia in testa, ha preferenze da prefisso telefonico e militanza da lista civica. Limitato e limitativo, oltre che smentito dai fatti, parlare di patrie e di profeti che non riescono ad esprimersi in pieno. Vendola ha corso e vinto due volte. In Italia, tutti gli riconoscono di essere l’inventore morale del sistema primarie, sebbene sia evidente che, il suo, più che un impeto democratico sia stato, almeno in prima battuta, il colpo di coda per sbarazzarsi della partitocrazia degli allora Ds e Margherita e, soprattutto, una maniera indolore e silenziosa per tirare fuori dai due grandi avversari, la massa degli scontenti, avocandoli a sé giusto il tempo di un’elezione; insomma, più un coupe de teatre risultato vincente che una vera e propria strategia politica.

Stando così le cose è di tutta evidenza l’oggettiva impossibilità di assumere, in loco dauno, il modello genovese, piuttosto che quello cagliaritano. L’eternità di un film, la sua riuscita, dipendono anche dalla bontà del cast. E gli interpreti usciti dal laboratorio sperimentale vendoliano sono spesso attoruncoli a caccia di piccoli ruoli di soddisfazione, senza ambizioni – e possibilità – di andare lontano.

p.f.
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1 commenti su "Primarie, Foggia non è Genova"

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