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Ru486 tra vite e aborti

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
31 Maggio 2010
Regione-Territorio //

Diagnostica strumentale in poliambulatorio (www.calcom.it)
Diagnostica strumentale in poliambulatorio (www.calcom.it)
Manfredonia – POSSIBILITA’ di gestire in casa un aborto procurato: è l’eventualità concessa da tempo alle donne dell’Europa, nei luoghi in cui viene commercializzata la RU 486, la pillola che sostituisce l’aborto chirurgico con una procedura chimica.

RU 486 IN ITALIA – La storia in Italia della pillola “innocua” risale all’estate del 2009 quando l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco aveva dato il via alla sua commercializzazione, prevedendo l’obbligo di somministrare il farmaco in ospedale, entro i 50 giorni dal concepimento. La donna che avesse scelto di interrompere la gravidanza con questa procedura, dopo l’assunzione del farmaco, potrà tornare a casa in attesa dell’espulsione del feto, procedura che può avvenire alcuni giorni dopo ma con conseguenze gravi: forti emorragie, complicanze di tipo infettivo o allergico. Il tasso di mortalità rispetto all’aborto praticato presso la struttura sanitaria è dieci volte maggiore.

IL DOCUMENTO DEL MINISTERO DEL WELFARE- A sollevare questo problema, per lo meno in Italia, un documento che il ministero del Welfare, alla luce dei dati richiesti e ottenuti dall’azienda produttrice Exelgyn, aveva inviato al Comitato tecnico scientifico dell’Aifa per avere ulteriori chiarimenti sul farmaco. Stando alla documentazione, sarebbero almeno 29 le morti causate dalla Ru486, a fronte dei 16 decessi attribuiti ufficiosamente alla pillola abortiva. La Ru 486 ha causato negli Usa sette decessi, mentre su altre quattro morti si sta ancora indagando. Ora però l’ombra inquietante dei pesanti rischi cui si può andare incontro ricorrendo all’aborto chimico comincia ad interessare anche l’Italia, nonostante il numero esiguo di procedure sinora effettivamente eseguite.

LE PROCEDURE – In realtà il metodo chimico prevede due somministrazioni di farmaci, diversi tra loro, a distanza di un paio di giorni: di regola l’espulsione del feto avviene dopo l’assunzione della seconda sostanza, la prostaglandina, che induce le contrazioni. Se l’aborto con la Ru 486 avviene al di fuori del ricovero ospedaliero è plausibile che la metà circa delle donne che vi si sottopongono espelleranno l’embrione dove capita: al lavoro piuttosto che a casa, oppure in treno, o in qualsiasi altro luogo. Circa l’80% delle donne abortisce entro 24 ore dal secondo farmaco, mentre i protocolli prevedono che le donne rimangano sotto controllo in ospedale 3-6 ore dopo la seconda pillola. Tale prassi è in evidente violazione della legge 194, che prevede che l’aborto avvenga all’interno delle strutture pubbliche proprio per salvaguardare la salute delle donne. L’espulsione dell’embrione non significa che l’aborto sia completato: le perdite di sangue sono molto abbondanti e durano più a lungo di quelle per un aborto chirurgico, perché con la Ru 486 l’utero si svuota lentamente, in modo spontaneo. Per questo le emorragie sono fra gli eventi avversi più pericolosi e più ricorrenti in questo tipo di aborto. Il Congresso degli Stati Uniti «processa» la pillola abortiva con una legge che approda al Congresso americano. A convocare gli esperti per presentare le loro ricerche sugli effetti del mifepristone è stato Mark Sauder, un deputato repubblicano dell’Indiana che si è fatto promotore di una legge per il ritiro della Ru 486 dal mercato americano. Le audizioni si sono tenute una settimana dopo la conclusione di una giornata di studi sul clostridium sordellii convocata dalla stessa Fda ad Atlanta, durante la quale due medici hanno reso note ricerche che provano come la Ru 486 sopprima il sistema immunitario mentre crea un terreno ideale per la riproduzione del clostridium sordellii nell’utero.

LA TESTIMONIANZE – A testimoniare in Congresso è stata chiamata anche Donna Harrison, autrice di uno studio sulla Ru 486 pubblicato a febbraio sulla rivista scientifica Annals of Pharmacotherapy. Harrison ha sottolineato che l’analisi degli effetti collaterali indotti dal mifepristone vanno oltre l’infezione da clostridium sordellii.

La società produttrice Danco si è rifiutata di intervenire. (fonti da Avvenire).

FILIPPO MARIA BOSCIA DELL’ASSOCIAZIONISMO PUGLIESE – “In Puglia non abbiamo bisogno di nuovi metodi per abortire, ma di nuove iniziative per aiutare le madri in difficoltà perchè possano tenersi i loro figli». A Filippo Maria Boscia, presidente del Forum pugliese delle associazioni e dei movimenti sociosanitari di ispirazione cristiana non è andata giù la fretta «sospetta» con cui la Giunta regionale pugliese ha approvato una mozione che permette l’utilizzo della Ru486, la pillola abortiva tanto discussa. «In una regione in cui il tasso di abortività tra le minorenni è elevatissimo– esordisce Boscia – anzichè applicare la legge 194 in quelle parti in cui si parla di prevenzione dell’aborto e di sostegno alle donne in difficoltà si preferisce lasciare le donne sempre più sole di fronte a una decisione tanto grave». «Metodologie sperimentali di questa valenza devono essere quantomeno discusse – riprende –. La mozione invece è stata approvata in modo autoritario dai politici, cioè senza interpellare noi medici. Si è data un’autorizzazione ad utilizzarla senza coinvolgere chi poi ha a che fare tutti i giorni con i danni provocati dalla Ru 486. Ai politici pugliesi vorrei dire che la Ru 486 non può essere utilizzata fuori dalle linee guida della 194, prendere simili decisioni senza consultare i medici è segno di presunzione e di sprovvedutezza». È chiaro che la metodica soft ha la meglio, ma non è così che si pone il problema. Inoltre come clinico sono fortemente preoccupato per una cosa: se il 49esimo giorno è il limite entro il quale la donna può assumere la Ru 486, è anche vero che solo da poco tempo ha appreso di essere incinta. Nel caso però, per fare un esempio, si trattasse di una gravidanza extra uterina non ancora accertata, assumendo il farmaco e iniziando ad avere disturbi, questi verrebbero attribuiti alla medicina assunta mettendo in serio pericolo la salute della donna».

ABORTI E MINORENNI – Sono 1.200 le minorenni pugliesi che ogni anno abortiscono volontariamente, a volte senza che i loro genitori lo sappiano, ma solo con l’autorizzazione del giudice tutelare e solo il 10.5% delle donne che richiede l’Ivg si rivolge a un consultorio familiare, struttura preposta per legge ai colloqui, al sostegno, alla prevenzione. Il numero dei consultori operanti sul territorio pugliese è inoltre molto lontano da quel rapporto nazionale di uno ogni 20.000 persone. È per tutte queste ragioni che desideriamo sapere con quanta consapevolezza la donna viene informata sulle conseguenze fisiche e psicologiche a cui va incontro. I Centri di aiuto alla vita (Cav), per esempio, non sono inseriti nelle strutture pubbliche, ma sono «corpi estranei» denuncia il professor Boscia . «Da tempo sto tentando di inserirne uno nell’ambito del mio dipartimento per aiutare le mamme anche dopo la nascita dei bimbi molto prematuri. Nel nostro ospedale arrivano donne da ogni parte della regione e registriamo 1.700 nascite ogni anno, con il 40% di parti ad alto e altissimo rischio». Che la vita resta una scelta da portare in grembo o da espellere non è scontata, così come la tutela della salute psico-fisica della donna non può essere negata né trascurata considerando le conseguenze non prevedibili del nuovo e proclamato metodo soft.

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