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Ci battono anche i porti del Marocco?

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
9 Giugno 2015
Editoriali //

Napoli. 5 giugno 2015, PRESENTATO IL SECONDO RAPPORTO ANNUALE DI SRM “ITALIAN MARITIME ECONOMY”ECONOMIA MARITTIMA STRATEGICA PER LA CRESCITA DEL MEZZOGIORNO Possibili conclusioni da trarre: Ci battono anche i porti del Marocco?

Napoli. Nel 1921 Giuseppe Prezzolini scrisse che l’Italia si divideva in due parti: “una europea, che arriva all’incirca a Roma, e una africana o balcanica che va da Roma in giù”. Ancora nel 1959, Il settimanale L’Espresso, dedicando un’inchiesta alle zone più misere del Mezzogiorno, la intitolava: “L’Africa in casa”.

Oggi, ricordando Giustino Fortunato che temeva l’Italia potesse riunirsi all’Africa dobbiamo tristemente evidenziare che, almeno per quanto riguarda l’organizzazione di porti, vorremmo somigliare al Marocco: tanto si evincerebbe dalla presentazione fatta da Sghir EL, (Filali dell’ANP, Agenzia Nazionale dei Porti del Marocco di Casablanca Studi e Pianificazione Divisione ODEP – Operazioni portuali Ufficio MAROCCO), il quale, in francese, con la splendida traduzione di Nadia Laraki (Direttore Generale dei Porti Nazionali Agenzia Presidente del Consiglio di Amministrazione di SA Portnet Wissam), ha messo in luce le aspettative portuali sistema Caso ODEP, sottolineando.

l’importanza strategica dei porti del Marocco. Nel corso dell’interessante relazione ha parlato dell’unità di porto, laddove le cifre per il 1999 già evidenziavano un traffico nazionale porto di 53 milioni di tonnellate, suddivise per tipologie di imballaggio. Per la pesca, 3.052 unità che effettuavano ingresso, per un totale di circa 850.000 tonnellate all’anno.

Ha spiegato come abbia lavorato l’ ODEP nell’organizzazione porto marocchino, mediante tre fasi principali:
• Una prima fase, caratterizzata dalle porte di gestione in regime di concessione aziende private (questo era prima del 1963).
• Una seconda fase, segnata dalla creazione di un consiglio di amministrazione del Porto di Casablanca, che si è poi gradualmente occupato sfruttamento delle porte principali Commercio del Regno.

1. Una terza fase, che ha avuto inizio nel 1984, segnato dalla riorganizzazione del settore portuale con la creazione dell’istituzione pubblica Office of Operations Ports (ODEP). Il settore portuale in Marocco è ora sotto la supervisione del Ministero Attrezzature. Questo ministero interviene nei porti via tre entità diverse: 1) La Direzione di porte e Porto di dominio pubblico, che supporta tutti i tipi di pianificazione di problemi e regolamenti.2) Le Casablanca e Mohammedia Ports Authority, le cui missioni sono simili, ma sono distinte, data l’importanza di questi due porti.3) L’Ufficio Operativo Ports, ente pubblico che è il fulcro, che caratterizza l’organizzazione adottata nel 1984.

Senza ulteriormente inoltrarci basti dire che la spiegazione sulla previsione del traffico e la pianificazione delle infrastrutture portuali, partita da un lontano passato, chiusasi con la dimostrazione delle attuali situazioni positive, è stata per noi italiani: una bella lezione in francese. Dal Marocco. Non possiamo meravigliarci, ricordando che, nel “Programma di sostegno alla cooperazione internazionale nell’area Med.” Con il progetto “TALMED Maroc – Cooperazione trasportistica e logistica tra Italia e Marocco a seguito dell’esperienza ITALMED”, durato dal 15 gennaio 2013 al 6 dicembre 2013, si aveva l’obiettivo dello: “sviluppo di relazioni tra porti, istituzioni, autorità portuali italiane e marocchine, relazioni consolidate maggiormente nell’ambito delle principali filiere critiche individuate e finalizzate ad una maggiore conoscenza dei rispettivi porti, territori e servizi offerti.” Sintesi del progetto: 1. Sviluppo delle filiere logistiche; 1.1 Agro-alimentare e Fresco; 1.2 Auto Nuove; 2. “Port Community Systems” e integrazioni ICT; 2.1 Port Community Systems; 3. Port Regulation & Governance; 3.1 Sviluppo del “Port Governance” e “Port Community Manager”; 3.2 Forum Euro Mediterraneo. Nadia Laraki ha precisato alla fine che si è trattato essenzialmente di volontà politica. Nella stessa giornata del convegno, ossia il 5 giugno, Durante l’assemblea dell’associazione degli agenti marittimi che si è svolta a Lerici, il presidente Michele Pappalardo intanto attaccava la burocrazia, rappresentata come uno dei “grandi nemici del sistema portuale e logistico italiano”.

I dati finali riportati dal RAPPORTO ANNUALE DI SRM “ITALIAN MARITIME ECONOMY” dicono: “+123% la crescita del traffico merci nel Mediterraneo negli ultimi 13 anni; Il 19% del traffico navale mondiale passa dal Mare Nostrum; nel 2005 era il 15%;Le direttrici verso e da Golfo-Medio ed Estremo Oriente sono cresciute nel periodo 2001-2014 rispettivamente del 160% e del 92%; +339% i passaggi dal Canale di Suez verso il Golfo arabo (2001-2014); Italia primo Paese UE28 per trasporto di merci in Short Sea Shipping nel Mediterraneo (204,4 mln di tonnellate). Italia terza in Europa per traffici gestiti (460 mln di tonnellate); Il settore marittimo vale oltre 43 miliardi di Euro di Valore Aggiunto (VA) e 800mila posti di lavoro; Valore interscambio oltre 220 miliardi di euro di import-export pari al 30% delle merci in valore. Verso i Paesi del Mediterraneo (Area Mena) questa percentuale sale al 75%; Il 33,7% del VA dell’economia del mare è prodotto nel Mezzogiorno (14,7 miliardi di euro) dove si trova il 38,6% degli occupati del settore; I porti del Mezzogiorno movimentano il 45,7% del traffico container e il 47% del traffico merci; Via mare il 60% dell’interscambio del Mezzogiorno (55 miliardi di euro).”

Massimo Deandreis, direttore generale SRM: “La ricerca è ricca di dati e mette bene in evidenza il peso di tutta la filiera del mare, non solo come comparto produttivo, ma anche come generatore di valore e di occupazione. In Italia 1/3 di tutto l’import ed export parte o arriva via mare. Gran parte di questo comparto è collocato nel Mezzogiorno che potrebbe svolgere il ruolo di piattaforma logistica a beneficio di tutto il sistema produttivo nazionale. Anche perché sta emergendo in modo marcato una direttrice marittima che dall’Europa, via Mediterraneo, passa per il Canale di Suez, Golfo e Asia. In questa direttrice l’Italia e i porti del Mezzogiorno, potrebbero trovare ancor meglio la loro funzione di Hub strategico”- Potrebbero. Federagenti, nello stesso giorno attaccava la duplicazione delle funzioni in più di venti amministrazioni per i controlli della merce che viaggia in nave e la moltiplicazione delle norme e delle loro interpretazioni, che spesso sono diverse nei vari porti.

Paolo Scudieri, presidente SRM: “Le imprese che producono hanno bisogno di una filiera del mare – portualità, logistica e operatori di shipping – che sia efficiente, competitiva nei tempi e nei costi, e in grado di inserirci nelle grandi direttrici dei traffici marittimi. L’annunciata riforma dei porti va in questa direzione ma occorre fare in fretta. Abbiamo perso molto tempo in passato. Tempo che i nostri competitors, nel Nord Europa e nel Sud Mediterraneo, hanno usato per rafforzarsi con investimenti infrastrutturali importanti. L’Italia ha una posizione geografica straordinaria. Noi siamo convinti che rilanciare la filiera del mare e investire per una portualità efficiente possa essere la modalità nuova per trainare lo sviluppo del Mezzogiorno”.

Intanto l’associazione degli agenti marittimi porta il caso di Gioia Tauro: “Un numero crescente di spedizionieri internazionali impone alle compagnie di navigazione l’esclusione del porto di Gioia Tauro dall’elenco dei porti dove sbarcare la merce, a causa dei controlli spropositatamente più numerosi rispetto a quanto accade nei porti concorrenti: 13.803 ispezioni sui container, pari al 2% di tutti i container movimentati, quando a Valencia si ispeziona l’1% del traffico, a Iperalgesia lo 0,2% e al Pireo lo 0,01%”.- Franco Gallia, direttore regionale Intesa Sanpaolo – “L’economia marittima per la nostra banca è qui di fondamentale importanza. Nel “mare”, infatti, la finanza ha un ruolo di rilievo, sia se parliamo di finanza privata cioè il sostegno ai nostri armatori e alle imprese della logistica sia che parliamo di finanza pubblica, vale a dire la finanza per le infrastrutture, e quindi l’attivazione di strumenti finanziari rivolti anche al settore pubblico come il project-finance quando l’operazione si svolge in partenariato pubblico-privato. Intesa Sanpaolo è sempre vicina ai settori produttivi che caratterizzano l’Italia e il Mezzogiorno e lo siamo con uno sguardo sempre più attento al Mediterraneo, alla cultura e alle radici delle imprese che qui producono”. Intanto Federagenti mostra una stima sui costi dell’inefficienza del sistema italiano: “Nelle stime di valorizzazione del tempo perso a causa dei vincoli burocratici viene indicato, in via cautelativa, il valore di 12 Euro come costo per il ritardo di un’ora nella spedizione di venti tonnellate di merce. Ciò significa che per ogni ora di ritardo derivante da procedure burocratico-amministrative su complessivi 250 milioni di tonnellate, il costo per il sistema economico italiano è di 150 milioni.

La tavola rotonda, moderata dal direttore de Il Mattino, Alessandro Barbano (oramai esperto del settore), su “Nuove rotte per la crescita del Mezzogiorno e del Mediterraneo” ha visto come discussant Michele Acciaro, professore di Maritime Logistics della Kühne Logistics University (KLU) di Amburgo, Oliviero Baccelli, Direttore CERTeT Bocconi, l già ricordato Sghir El, Luigi Nicolais, presidente CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Paolo Scudieri, presidente SRM e presidente di Adler Group, Orazio Stella, Amministratore Delegato Maersk Italia. Genova – «Cinquecentomila container carichi di merci italiane ogni anno scelgono il porto di Rotterdam per fuggire alla complessità di un sistema portuale «sempre più distante dalle aziende». Altri cinquecentomila, riempiti in Austria e Baviera, scelgono la rotta nordeuropea «perché in Italia nessuno si preoccupa più di andare a recuperarli». Inadeguatezza nel primo caso, rassegnazione nel secondo.

Il risultato, drammatico per i porti e l’erario, è lo stesso: un clamoroso assist al già ricco Northen Range. «Eppure questo Paese avrebbe potenzialità immense. Davvero immense».Orazio Stella da tre anni è amministratore delegato in Italia di Maersk, primo gruppo armatoriale al mondo, uffici a Genova e interessi in ogni angolo del pianeta. «Gli sforzi per migliorare la situazione ci sono, li vediamo quasi tutti i giorni. Ma il grado di competitività del sistema portuale italiano è ancora basso – spiega –. Forse la visuale prospettica di una multinazionale è diversa da quella che matura in un contesto, diciamo così, “tradizionale”: noi siamo abituati a ragionare in termini di ritorno sugli investimenti, di capacità produttiva. Beh, se applichiamo al sistema portuale questi concetti, risulta davvero difficile scrutare il settore nel medio periodo». Ma dov’è che l’Italia sta sbagliando?

«Il nostro timore è che si continui a investire tempo su un doppio binario che rischia di essere improduttivo: la governance e le infrastrutture. Due argomenti importanti, per carità, ma inutili senza un’opera di promozione commerciale del sistema Paese. Una classe politica impegnata da anni nella riforma della legge 84/1994, per fare un esempio sportivo, mi ricorda quelle squadre di calcio che buttano la palla in tribuna per perdere tempo. Io vorrei sapere, invece, chi si occupa di andare a parlare con i clienti finali. Chi si sta preoccupando di convincere le aziende europee che l’Italia è il Paese sul quale è giusto investire? Se devo essere sincero, ho l’impressione che nessuno se ne stia occupando».

Senza infrastrutture adeguate, anche la promozione del sistema-Italia diventa superflua. «Ma costruire un nuovo porto non significa attirare merci: ne è solo il presupposto. Per attirare merci devo avere i clienti che scelgano l’Italia, e oggi non ne ho abbastanza. Ragioniamo su un caso concreto, e di grande attualità: pensiamo davvero di avere le condizioni commerciali, e non solo operative, per attirare con continuità le navi da 18.000 teu? Io dico che in questo momento la massa critica dell’Italia consente l’arrivo di navi da 13, 14.000 teu, ma non quelle da 18.000. Vede, Internet ha reso quasi perfetti i meccanismi della concorrenza: oggi sul prodotto non si bara più. O sei in grado di offrire servizi di alta qualità a prezzi concorrenziali o sei fuori dal mercato. Di più: devi essere disposto anche a rinunciare a una parte del ritorno economico per essere competitivo». E questo l’Italia non l’ha ancora capito? «Diciamo che anche il Paese deve iniziare a fare la sua parte, e non solo i privati. L’Italia dovrebbe iniziare a occuparsi di quello che in azienda si chiamamarketing. Non importa chi: la presidenza del Consiglio, il ministro dei Trasporti, basta che lo faccia qualcuno».

Il marketing presuppone la disponibilità di un buon prodotto da vendere. Le premesse non sembrano incoraggianti. «In realtà lo sono. L’Italia è la naturale porta di ingresso per le merci in arrivo dal Far East verso la regione più ricca d’Europa. Fatto 100 il Pil pro capite dell’Europa, Lombardia, Austria e Baviera hanno una media superiore a 125. Questa è la carta che il Paese deve giocarsi. Perché perdere un milione di contenitori ogni anno non è più giustificabile». Non più serene le conclusioni tenute da Maurizio Barracco, presidente del Banco di Napoli. i quale, pur insistendo su “(…) come il raddoppio del Canale di Suez potrà avere un impatto estremamente positivo sul commercio marittimo” precisa che occorrerà “essere bravi” perché l’impatto positivo si trasmetta “anche sull’economia italiana e del Mezzogiorno.” Una crescita che si intende sostenere “sfruttando la presenza di Intesa Sanpaolo in tutto il bacino del Mediterraneo con filiali in Turchia, uffici in Tunisia e Marocco e una banca molto forte in Egitto, la Banca d’Alessandria. Ed infine a Dubai da cui si sovraintende tutta l’area del Golfo.”

Baracco sottolinea che il Gruppo è forte proprio in quei Paesi e mercati che stanno emergendo come nuove direttrici del traffico marittimo e su cui l’Italia può giocare un importante ruolo. Ce lo auguriamo, con l’assenso e la determinazione di un Governo che produca mutamenti necessari, benché il passato ci parli di una Italia laddove concepire e realizzare infrastrutture di trasporto è “molto difficile”, ormai da decenni, deridendo ciò che accadeva dall’antichità romana fino al dopoguerra, laddove eravamo considerati la “patria” delle infrastrutture.

Qualsiasi progetto si carica di discussioni, polemiche, interessi privati, lunghissimi tempi di completamento, generando un mare di opere incompiute che fanno lievitare i costi di quelle condotte a termine e troppo spesso tragicamente implose. Causa? Insufficiente qualità costruttiva, pesanti impatti sul territorio, corruzione e malaffare cui ci siamo abituati come fosse l’unica realtà possibile. Risultato? Un sistema della mobilità spesso insufficiente, a volte ridondante, che assorbe tante risorse, peggiora la qualità della vita e penalizza l’economia. Anche quella marittima del nostro Mediterraneo.

(A cura di Bianca Fasano, Napoli, 9 giugno 2015)

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