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26 aprile 1986, un week end di paura

AUTORE:
Ferruccio Gemmellaro
PUBBLICATO IL:
24 Aprile 2012
Editoriali //

Nome file: Foto-di-FG-LampedusaEx-stabilimento-di-pena.jpg
IL disastro della centrale di Cernobyl in Ucraina, a circa due decine di chilometri dalla Bielorussia, deflagrò il 26 aprile 1986, all’1.23. Fu durante una ispezione di sicurezza che si determinò la scissione dell’acqua di refrigerazione in idrogeno ed ossigeno a pressioni elevate, tali da innescare una fortissima esplosione, questa la causa che scoperchiò il reattore e che lo condusse all’incendio.

Le conseguenti nubi radioattive indussero alla smobilitazione di 336mila abitanti del territorio. Altre nubi contaminanti sorvolarono l’Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia, raggiungendo Austria, Francia, Germania, Italia, Svizzera e i Balcani. Rapporti ONU contano 65 morti accertati stimandone ancora 4mila entro ottanta anni, contro Greenpeace, che ne valuta addirittura 6milioni in mappa mondiale in 70 anni.


La paura.
A Maribor, il crocevia in odore di cultura mitteleuropea – austriaca, slava e ungherese – e che pertanto mi aveva allettato per trascorrervi un week end, dopo cena raggiunsi il bar dell’hotel per gustarmi un bicchierino di ‘‘slivovitz”. Contavo di visitare la cittadina in notturno ma una pioggia torrenziale aveva sconvolto il programma serale. Avrei voluto gironzolare tra edifici, piazzette e monumenti, sgombri dal trambusto quotidiano, intrigato artisticamente dall’architettura e dall’urbanistica, invece feci in tempio solo a scambiare due parole con una giovane. Mentre mi si avvicinava, ebbi subito la certezza che si muovesse guardinga. Poi compresi il perché: identificandomi quale turista, mi chiese la cortesia di concederle un breve dialogo in inglese; il suo mondo d’allora non concedeva di esprimersi in questa lingua con pubblica franchezza. Al termine, si dileguò oltre la luce dei lampioni, disegnandosi una soddisfatta mimica facciale.

Mi ero rifugiato al bar visibilmente bagnato, accolto dallo sguardo incuriosito dei clienti. – Meno male – andavo riflettendo, osservandomi i vestiti – che qui la pioggia è pulita.- memore dell’acqua piovana delle nostre città con la quale ci ricade addosso lo smog in sospensione, imbrattando abiti e corpo. Al banco, mi si avvicinò uno slavo, scandendo parole nel loro italiano da frontiera, consigliandomi sulla scelta delle sigarette e della grappa, questa da lui offertami. Poi la sua domanda a bruciapelo – Pioggia fa paura, no? – Non riuscivo ancora ad afferrarne il senso.

Già alle prime gocce, mentre si poteva continuare a passeggiare tranquillamente, avevo notato quella strana ansia invadere la gente, la quale cercava precipitosamente un riparo per lo più familiare. Avevo motivato il tutto dal fatto che, per loro esperienza di clima continentale, sanno quando la pioggia sta per diventare diluvio: lo sarebbe stato, infatti, in pochi minuti cogliendomi di sorpresa. L’amichevole portiere di turno aveva intuito la mia disinformazione ed esordì in perfetto italiano, chiedendomi se sapessi dell’esplosione nucleare di Kiev. All’improvviso fui ghermito dai sintomi di un’apprensione, se pur ancora a livello inconscio, inspiegabili, ma già avvertivo una fitta da nostalgia per la casa nel Veneto, sulle rive del Sile.

– Si certo – gli risposi e dentro di me auguravo che fosse unicamente quella l’informazione; solo al pensiero di ben altro mi attanagliavo, soffocato da tristi avvenimenti lontano dagli affetti, dalle abituali strutture organizzative del mio paese. – Sembra che la nube – seguitai per dare coraggio più che altro a me stesso – abbia raggiunto l’estremo nord europeo. – È sopra di noi – m’interruppe con tono grave il portiere, che non mi pareva più tanto simpatico. – Bisogna evitare di prendere la pioggia – sembrava infierisse – e di mangiare frutta e verdura e latte non conservati… consigliato bere e lavarsi con acqua sicura. L’apprensione che provavo abbandonò l‘inconscio per chiarirsi del tutto in sgomento. Dal pomeriggio che ero esposto all’acqua piovana; per un guasto elettrico all’auto, avevo armeggiato inutilmente sull’impianto sotto la pioggia prima di decidermi a chiamare l’Auto Moto Zveza, che corrisponde al nostro ACI. Dalle ultime parole del portiere compresi allora il perché il meccanico fosse arrivato d’incanto a pioggia cessata, quindi, mi ero esposto troppo.


E temetti che non mi avrebbero fatto uscire dalla frontiera se non mi fossi sottoposto al “geiger“, che se fossi risultato positivo mi avrebbero isolato, temetti di essere irrimediabilmente contaminato e la mia immaginazione andava alle scene finali del “Day after”. Un crescendo da incubo che avrei vissuto per tutta la notte nella camera d’albergo.

All’alba ero in piedi, pronto a rimpatriare. Nella hall, l’impatto inaspettato con una comitiva numerosa di russi. – Questa gente – mi apostrofò il solito portiere – nega l’esplosione, nega la nube, nega tutto – e qui fece ricorso alla sua esperienza dialettica del nostro paese – come dite voi a Roma, li mortacci loro!

Ebbene, da quel momento, la paura atomica mi si ridimensionò. Sarà stata l’imprecazione romanesca dello slavo, il cielo terso, gruppi d’italiani che arrivavano come di solito rumorosi e buontemponi, sarà stato tutto l’insieme, ma mi sentivo finalmente uomo libero tra uomini liberi e quindi non più ingabbiato da quella solitudine in terra straniera quando toccati da eventi paurosamente imprevedibili. Anche quei russi, nel loro smentire, rincorrevano sicuramente la maniera di cancellare la paura in loro e nei loro simili.

– L’uomo della strada è uguale dappertutto – avevo risposto la sera prima a uno studente straniero a Zagabria, che mi chiedeva come avevamo preso noi italiani la faccenda di Lampedusa. Il lettore ricorderà che l’attacco missilistico libico contro Lampedusa, scagliato dieci giorni prima, il 15 aprile, pur fortunatamente andato a vuoto (le armi caddero in mare prima di raggiungere la costa), aveva aperto una grave crisi diplomatica italo-libica. Furono lanciati due missili SS-1 Scud che avrebbero dovuto colpire il sistema LORAN 1 di radionavigazione appartenente alla NATO, quale risposta bellica al bombardamento statunitense sulla Libia nell’operazione “El Dorado Canyon”. Contrattasi la paura di un conflitto armato, che avrebbe irrimediabilmente coinvolto il nostro paese, fu allora che avevo deciso di intraprendere un viaggio per un fine settimana di rincuoramento, affidandomi all’arte e alla cultura.

– Se nel mondo – proseguii – l’uomo della strada riesce finalmente a condizionare l’opera dei governi, avremo molta più pace. E l’uomo della strada deve poter viaggiare di più, per conoscere meglio il suo simile straniero, capirebbe che siamo tutti – conclusi – dico tutta l’umanità, in mano ai capricci di pochissimi individui, talvolta pazzoidi – Lo studente mi rivelò la sua nazionalità: libico e partigiano della politica di Gheddafi, che gli pagava studi e permanenza in Jugoslavia; devo ammettere che solo dopo la frontiera ripresi tutta la mia tranquillità nell’incedere, liberandomi alfine di ombre che incombevano alle mie spalle, compresa quella dello studente.

1 Acronimo di “Long Range aid to navigation” (ausilio alla navigazione aerea a vasto raggio)


La rabbia.
“Un dato appare allora chiaro \…\ – avrei scritto in un intervento stampa, ancora ignaro delle effettive conseguenze – non è certamente la catastrofe nucleare [in Europa], ma essa [la nube], con il suo apporto di nuove radiazioni da nuclidi sulle vecchie, inchioda l’umanità a un ulteriore assorbimento di raggi. Le cariche assorbite, e proprio quelle maledette, non si estinguono: si sommano alle precedenti (anche ai raggi X della sanità) per un processo d’infinita emissione. E rammentiamoci appunto che sono le radiazioni dall’interno, cioè quelle ingerite, naturalmente tramite l’alimentazione, a essere oltremodo devastatorie per gli organismi \…\ l’uomo della strada ha ricevuto così la spinta a che si documenti e comprenda quanto sia umanamente osceno accettare i rischi per una fonte di energia che i politici chiamano strategicamente alternativa.”

Le “bombe atomiche” truccate da centrali nucleari pro umanità continuano piuttosto a pretendere vittime sacrificali senza soluzione di continuità sin nel terzo millennio.

29 settembre 1957 Kyshtym (URSS): oltre 100 deceduti e 270mila esposti; 7 ottobre 1957 Sellafield (UK): 300 deceduti per malattie, leucemie e tumori riconducibili. 28 marzo 1979 Three Mile Island (USA): vittime non accertate.

26 aprile 1986 Kiev Cernobyl (URSS): Decessi immediati. In centinaia di migliaia evacuati, l’Europa intera esposta con milioni di cittadini sotto l’incubo di leucemie e tumori con soluzioni letali negli anni a venire, discendenza diretta inclusa.

30 settembre 1999 Tokaimura (Giappone): 320mila evacuati; marzo 2011 Fukushima (Giappone): sgomberati almeno 80mila provenienti dalla “no-entry zone” intorno alla centrale nucleare, con 10mila scolari trasferiti altrove. (la triplice catastrofe – sisma, tsunami e nucleare – ha causato 19.128 tra vittime e dispersi con 343.935 evacuati) “…è giunto il momento di sopportare l’insopportabile” aveva pronunciato nel 1945 l’imperatore giapponese Hirohito il domani dell’ecatombe di Hiroshima e Nagasaki. “Prego per la sicurezza di quante più persone possibile” avrebbe proferito l’imperatore Akihito straziato dall’incidente di Fukushima.

“Non dobbiamo dimenticare la tragedia – ha continuato nel primo anniversario, estendendo le proprie inquietudini al mondo intero – ma trasmetterla alle nuove generazioni per un futuro più sicuro”. Dalla metà del secolo scorso, quindi, nulla è assolutamente mutato per il bene dell’umanità, anzi… la controffensiva micidiale del nucleare pare sprigioni sempre di più la congenita predisposizione genocida.

Pur con gli egregi scienziati – e al mondo i giapponesi erano stati sempre investiti di attendibilità – tantomeno con la classe politica, che sovente si sostituisce arrogantemente ai primi con azzardate affermazioni rassicuranti, essa, l’umanità, non è tuttora in grado di controllare il nucleare. Il Giappone impaurito ha immaginato una sorta d’inumazione della centrale incriminata; la metafora, si auspica, per seppellire ogni ricorrente velleità nucleare. Che si proceda con le ricerche, finanziandole adeguatamente, ma si desista dal porre l’energia atomica in concretizzazione, finché non si è realmente capaci di imprigionarne la malefica propensione.

(A cura dello storico critico Ferruccio Gemmellaro, ferrucciogemmellaro@gmail.com)

1 commenti su "26 aprile 1986, un week end di paura"

  1. 26 aprile 2012, il giorno dopo la “liberazione”….. con immagini statiche

    26 aprile 2012, il giorno dopo la commemorazione della “liberazione”. Ieri ho continuamente ricevuto email da persone che vorrebbero vedere l’Italia liberata dal giogo finanziario mondialista cui è costretta. Chi ce l’ha con le spese militari e con gli americani, chi ce l’ha con i tedeschi e con la loro prepotenza, chi ce l’ha con le banche (BCE e Bankitalia) che caricano tariffe per stampare denaro per conto dello stato e ci fanno pure pagare gli interessi. Chi ce l’ha con il FMI che con i continui prestiti per sanare i deficit appesantisce ulteriormente il debito pubblico: più prestiti più interessi da pagare più povertà… Ma soprattutto chi ce l’ha con il gobiermo montales della Goldman Sachs and Trilateral. “Ma chi ce l’ha messo questo sul groppone?” Scrivono disperati? “E’ stato quel napoletano!, con l’approvazione dei partiti…”.

    Intanto il napoletano dichiara che è inutile star lì a cincischiare, il gobierno durerà fino alla sua naturale scadenza (2013, se non oltre) e quindi “pagare e zitti!” Inoltre ricorda che non bisogna dar retta ai “qualunquisti” quelli che fanno anti-politica, occorre invece dar retta ai partiti che sostengono il buon gobierno montales ed approvare in silenzio le sue decisioni, le sue tassazioni, i suoi acquisti di auto blu, di aerei bombardieri e caccia, etc. etc.

    Il montales sa che la guerra è vicina e che servono auto blù per far scappare i politici, servono F16 e mitragliette per fermare le masse inferocite. Altro che “grillini”, altro che “forconi”, altro che “pappalardi”…

    Ma gli scontenti non sono i soliti tartassati e servi della gleba, persino nelle fila moderate numerosi cittadini obiettano agli aumenti delle imposte e dei prezzi. Nei sondaggi la popolarità del “professore” e del suo gobierno declina vertiginosamente.

    Una notizia d’ufficio – Documento Economia e Finanza 2012: “La somma di entrate e spese pubbliche supera il 90% del PIL: è un drenaggio incompatibile con un’efficace rilancio dell’Economia.” Come dire che per rilanciare l’economia non servono più tasse, ma più equità e creazione di posti di lavoro che si ottiene con investimenti privati e pubblici. Il PIL consiste in Consumi + Investimenti + Spese Governative. Dovrebbe essere ovvio che: Chi non guadagna non consuma…

    Ma soprattutto dovrebbe essere attuata una maggiore equità nelle ripartizioni della ricchezza comune, una maggiore “austerità” da parte delle classi privilegiate. Considerando che l’Italia è oppressa da un nugolo di “amministratori” che succhiano più di quanto ammnistrano.

    Riporto qui un brano di George Orwell per capire come la fantasia sia divenuta realtà: “La popolazione era divisa in due. Da una parte la maggioranza, i ‘prolet’, verso la quale non vi erano preoccupazioni di sorta: nessuno di loro si interessava alla politica o ambiva a carriere di potere; lavoravano, si distraevano con la pornografia che gli veniva ammannita in abbondanza, si divertivano, procreavano, si ubriacavano; una massa informe e spersonalizzata. I prolet non avrebbero mai potuto ribellarsi. Poi c’era l’ampia classe dirigente che si occupava di tutto; una moltitudine di burocrati e funzionari estremamente inquadrata e controllata. Attraverso una capillare rete di televisori ricetrasmittenti ogni frase era intercettata, ogni movimento sorvegliato, mentre incessantemente erano divulgati i comunicati del Partito”

    Ed un pensiero di Pier Paolo Pasolini: “L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di… essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società”

    Sono trascorsi diversi anni dalle esternazioni di Orwell e Pasolini.. e le cose sono migliorate? Macchè, com’era prevedibile sono peggiorate! Chi va in discesa difficilmente sceglie di risalire… Risale solo se costretto dalle circostanze!

    Paolo D’Arpini

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